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giovedì 5 aprile 2012

Valle Castellana ... Un mondo che scompare

Valle Castellana, estremo confine teramano in un sorprendente scenario naturale.

La valle del fiume Castellano, battuta per secoli da eserciti, mercanti, pastori, pellegrini, si è persa nell’ultimo trentennio un pezzo della sua identità.

Il corso d’acqua scorre placido in una delle più selvagge lande teramane.

"Un paesaggio così se non ci fosse bisognerebbe inventarlo.
Poi lo trasporti al Louvre e lo metti tra i capolavori dell’arte".

Usa iperboli il buon Umberto per descrivere la sua amata terra.
Quarant’anni spesi a far la spola tra la casa paterna, dove vive ancora l’anziana mamma e il suo lavoro ad Ascoli Piceno.

Il paese di Valle Castellana, "capoluogo" del comprensorio, è in gran parte popolato di anziani.
Alcuni di essi con tanto di vigili badanti polacche al seguito, fornite, pare, dalla “Caritas Diocesana” ascolana.

Donne poco avvenenti perché quelle più belle non ne vogliono sapere di andare in montagna e se ne stanno ad Ascoli Piceno.

La corriera che giunge da Teramo è quasi vuota se si eccettuano alcuni studenti e qualche donna.
Il bus denota tutti gli anni di onorato servizio lungo i numerosi tornanti a gomito.
Ha più crepe il vetro anteriore che rughe il viso di Rita Levi Montalcini.
Ruggine e ammaccature a iosa ma l’autista è impeccabile col suo completo blu Arpa.

A pochi chilometri, c’è il territorio di San Vito con le sue “caciare”, capanne in pietra cui si aggrappavano, come naufraghi alla zattera, i poveri pastori.

Umili ma laboriosi individui con la mente a dimensione spartana, priva di alcun rigurgito di tecnologia.

Un popolo di transumanti che da queste parti ha vissuto giorni duri attraverso i viaggi del gregge, ponendo tappe intermedie con il catasto di questi piccoli avamposti in pietra dove poter riposare le stanche membra.

In piazza mi avevano avvertito: "Se vuoi capire la Laga, contatta l’Umberto … lui è astuto perché da piccolo gli hanno fatto mangiare il cuore di una rondine".
Questa frase è stata buttata lì da un vecchio guitto geniale che mi ha raccontato di un’usanza tribale in voga sino alla fine degli anni ’60.

Divorare il cuore del volatile assicurava grande forza, visto che trascorreva parte della sua esistenza in volo migratorio per delle rotte intercontinentali.
Immaginate oggi cosa avrebbero da dire gli animalisti al riguardo.
Il problema è che le rondini sono quasi completamente scomparse.

Umberto mi presenta il parroco proprio davanti alla bella chiesa dell’Annunziata con la parte antica risalente al Mille, una cripta romanica fatta di pietra arenaria dorata e grigia e un presbiterio rialzato.
È ancora chiusa a causa del terremoto del 2009.
Le porte si aprono quando dico che devo scrivere un articolo sul paese.
Il curato è prodigo di notizie.

Nel 1400 fu edificato il corpo centrale del tempio, originariamente dedicata all’Assunta dopo che, nella vicina Stornazzano, l’edificio sacro era stato distrutto da un terremoto, anche allora devastante.

La statua, molto venerata, fu spostata a Valle Castellana.

Sui muri tracce di affreschi dal carattere popolaresco raffiguranti santi e benefattori che avrebbero contribuito con soldi e lavoro all’edificazione della chiesa.

"Queste pareti - termina il sacerdote - erano state intonacate, ricoprendo le opere d’arte.
In parte sono state recuperate con profondi restauri.
Qui nella vallata tutto cade a pezzi.
Vada a vedere Santa Rufina.
E’ a pochi chilometri.
Scriva che da anni attendiamo fondi per dei restauri".



Articolo redatto da Sergio Scacchia, autore tra l'altro di tre libri:
"Silenzi di Pietra" e "Il mio Ararat" e "Abruzzo nel cuore".

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