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domenica 29 giugno 2014

Sedia nel Parco del Vezzola vista cavalcavia

Logorato dalla vita moderna?
Sei in affanno quando passeggi nel parco e hai bisogno di un attimo di riposo?
Sei alla ricerca di refrigerio o ti annoia startene seduto sul divano di casa?
Nel Parco Fluviale del Vezzola a Teramo (Abruzzo) c'è quello che fa per te.
Un cittadino (per modo di dire) "na freca" demente, non so come e non so perchè ha posizionato lungo un tragitto secondario, vista cavalcavia, una sedia da giardino in buono stato.



PS: Potrebbe il gentile teramano traslocarci anche un comodino o comunque qualcosa su cui appoggiare una bevanda o uno zainetto?
Se proprio devi fare il cretino fallo in maniera completa.


La Misericordia di Tortoreto Alto

Il borgo collinare di Tortoreto Alto, affacciato sull’Adriatico, è un piccolo gioiello del teramano.

Passeggiando tra le viuzze degli antichi quartieri di Terranova e Terravecchia, è possibile scoprire un vero tesoro d’arte sconosciuto a molti: La cappella della Misericordia.

È un minuscolo luogo sacro, che presenta all’esterno un aspetto quasi anonimo.

La chiesa è integrata perfettamente tra le abitazioni, tanto da essere ignorata da molti turisti che in estate, la sera, lasciano la solita passeggiata sul lungomare, per recarsi in collina a godere aria fresca.


Basta entrare per essere colpiti dall’austerità di una sala unica divisa in due campate con un bel soffitto dalla volta a crociera e una piccola abside, gioiello tutto affrescato.

Il ciclo pittorico che avvolge l’intero ambiente, racconta con tocchi maestrali, gli episodi salienti della vita di Gesù, soffermandosi soprattutto sui momenti terribili della Passione di Cristo.

Davanti agli occhi dei visitatori appassionati d’arte, sfila la preghiera del Salvatore tra gli ulivi del Getzemani, la cattura e la presentazione davanti al volto truce di Caifa.

In un crescendo emozionale, si ammirano la Flagellazione, l’incoronazione di spine e la difficoltosa ascesa al Calvario.

Si arriva, come spettatori del susseguirsi degli eventi, alla Morte in croce e alla Deposizione del Signore.

Subito dopo, ecco la Speranza che deve animare il cristiano fedele: La Risurrezione che è presentata sublimemente, dai quattro Evangelisti.

A ricordo della pestilenza, vinta dall’amore infinito della Vergine per il paese di Tortoreto, debellata grazie alla Sua intercessione verso Dio, ecco la sfilata di santi.

Sono gli uomini graditi al Cielo, da San Rocco a Sant’Antonio da Padova, ammaliati nello sguardo dall’infinita Misericordia di Maria.

Non manca comunque una pittura che racconta il momento gioioso della vita della Sacra Famiglia: La Nascita del Bambino nella grotta umile di Betlemme.

Secondo gli esperti non c’è dubbio che la cappella, che anticamente celava un luogo di culto pagano, abbia i crismi architettonici del Rinascimento, che in Abruzzo soprattutto nel secolo XVI, ebbe grandi esponenti in costruttori giunti dall’Italia del nord.

 Il tempio fu dedicato alla Madonna come ringraziamento per il miracolo della liberazione da una pesta virulenta che aveva colpito il teramano, soprattutto la parte costiera intorno al 1525.

Accanto alla cappella c’era anche un piccolo lazzaretto per il ricovero degli appestati che poi divenne ospedale che funzionò fino ai primi anni dell’ottocento, secondo gli scritti dello storico teramano Nicola Palma.

Non è chiaro definitivamente chi abbia lavorato a questi affreschi.
Lo stile riporta, inequivocabilmente a Cola d’Amatrice che soleva spesso venire in questi luoghi per insegnare arte a giovani promesse.

Fra questi, gli esperti pensano che a realizzare il ciclo pittorico sia stato proprio il suo allievo più fecondo, quel Bonfini che affrescò diverse chiese dei borghi affacciati sul mare Adriatico.


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Articolo di Sergio Scacchia pubblicato sul blog Paesaggio Teramano collegato alla rivista omonima.
Sul blog "Paesaggio Teramano" possibilità di visionare o fare il download dei numeri della rivista già pubblicati.
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 Come arrivare a Tortoreto Alto:

IN AUTO: Autostrada A14 Uscita Val Vibrata
IN TRENO: Stazioni di Alba Adriatica (a nord), Tortoreto e Giulianova (a sud)
IN AEREO: Aeroporto di Pescara 50 KM

sabato 28 giugno 2014

Come parcheggiare fregandosene degli altri

Viaggio tra inciviltà e degrado a Teramo e dintorni.
La grande bruttezza teramana odierna: come parcheggiare fregandosene degli altri



Ore 12:38, il parcheggio di Arcaplanet a Teramo è quasi sgombro di auto ma il padrone di questa auto non trova di meglio che occupare 3 dei 4 spazi adibiti al parcheggio delle moto.
Disattenzione, menefreghismo o inciviltà?


San Gabriele dell'Addolorata: Il santuario dei prodigi

Si muovono a piedi silenziosi alle prime luci dell’alba.
Avvolti nelle loro tuniche nere, i passionisti, dediti a San Giovanni della Croce, camminano in fila indiana per recarsi al santuario maggiore e recitare, come ogni mattina, le Lodi.

Nella nebbiolina umida delle prime ore del giorno, l’aria che giunge dal vicino Gran Sasso è frizzante.

C’è intorno una sensazione di pace che scomparirà fra qualche ora, quando giungeranno da ogni dove i pellegrini come ogni domenica che ha fatto il Signore.
Le botteghe apriranno i battenti per propinare souvenir religiosi, i ristoranti tireranno a lucido le sale e i vigili avranno il loro bel da fare per tenere in ordine il grande piazzale preso d’assalto da migliaia di vetture e bus.

Questo di San Gabriele è uno dei quindici santuari più visitati al mondo, al centro di un triangolo sacro che comprende Loreto e San Giovanni Rotondo e che si trova a pochi chilometri dalle meravigliose chiese romaniche della vallata del Vomano.
Vi giungono pellegrini da tutto il mondo.

È all’ottavo posto per numero di visitatori tra i luoghi di culto italiani secondo l’annuario dello SPI, la Segreteria pellegrinaggi italiani.
E pensate che, secondo i calcoli dell’americana Mary Lee Nolan, nella sola Europa Occidentale sarebbero circa seimila le chiese che entrano nella categoria di “santuario”, cioè un luogo sacro verso il quale converge un itinerario di fede per celebrare una presenza sacra cristiana.

Numeri impressionanti qui a pochi metri dalla piccola Isola del Gran Sasso, che sottolineano un vorticoso andirivieni di fedeli sfiorante la ragguardevole cifra di due milioni e mezzo.

Nel 2009 al santuario sono state distribuite circa 315 mila comunioni e considerate che in genere la media dei pellegrini che ricevono la particola consacrata è di 1 su 6/7.

L’autostrada dei Parchi ha registrato al casello di uscita dell’A24 Roma Teramo qualcosa come 652 mila autoveicoli.
Un’ affluenza record che rese necessaria, a partire dal 1970 in poi, la costruzione della nuova basilica, un imponente struttura architettonica ispirata alla sagoma di una grande nave, metafora della Chiesa in cammino nel mondo, capace di accogliere oltre diecimila pellegrini al giorno.
Don Giacomo Alberione della Famiglia Paolina, soleva dire che “per il Signore non si deve fare economia; da Lui abbiamo tutto, le cose più belle devono essere sue”.

La grande stiva di questo transatlantico a forma di croce greca, lunga novanta metri e larga trenta, è la cripta di San Gabriele, inaugurata da Giovanni Paolo II nel 1985.
Le quattro vele d’acciaio paiono protendersi verso l’infinito degli altrettanti punti cardinali.

Ne è passato del tempo da quando San Francesco transitò in questo luogo ai piedi del re dell’Appennino.
Era in compagnia del Beato Anastasio di Penne, appena dopo il Concilio Lateranense IV del 1215.

Si recava nella Valle Siciliana per portare pace, come suo solito, tra le famiglie agiate che rivendicavano, bellicosamente, terreni e proprietà.

Il poverello d’Assisi era definito il “giullare di Dio”, capace di radunare intorno a sé le folle, scuotendo una bacchetta di legno o suonando un corno.

La cultura del cantastorie gli era giunta dalla madre, tipica madonna della Provenza, terra di trovatori.
La ventiduesima carta dei Tarocchi, come saprete, distingue il giullare dal buffone; il primo al contrario dell’altro non teme di sbeffeggiare i potenti, quindi è rappresentato nudo, con nulla da nascondere.

Ecco, il sorriso di San Gabriele dell’Addolorata, il santo dei miracoli, non nasconde la gioia di vivere e nasce forse dai geni del Patrono d’Italia, del quale aveva avuto in comune il vero nome, Francesco Possenti e il luogo di nascita.
Nel 1838, infatti, il futuro protettore d’Abruzzo, vedeva la luce in una Assisi immersa nel profondo dell’Umbria. Gabriele, a diciotto anni,dal noviziato dei passionisti a Morrovalle di Macerata, scriveva ai familiari che, “sì, è vita dura, ma anche continua gioia … non cambierei un quarto d’ora della mia esistenza qui”.

Non aveva venticinque anni quando il ragazzo, il 27 febbraio del 1862, si congedava prematuramente da una vita semplice, contrassegnata dal sorriso perenne e dalla eroicità del quotidiano.
Era stato consumato dalla tubercolosi.
E quando nel 1892, dopo l’esumazione delle sue spoglie mortali, accaddero i primi strepitosi prodigi e le tante inspiegabili guarigioni operate da Dio per sua intercessione, l’amante della vita, divenne nel mondo, il santo sorridente, il vero modello per le giovani generazioni .
Da lì la beatificazione nel 1908 e la canonizzazione del 1920.

La figura di Padre Vincenzo Fabri risalta sui graniti policromi e gli intarsi geometrici della gradinata d’accesso.

Il religioso è anche un conosciuto e apprezzato giornalista, addetto stampa per il santuario che annovera tra le sue importanti iniziative, una fortunata rivista, L’Eco di San Gabriele, edita per circa mezzo milione di lettori.

Dalle vetrate a nord s’intravede a tratti il complicato meccanismo dei quattordici bronzi finemente lavorati.
Quando suonano muovono qualcosa come 25 tonnellate di materiale.
Il passionista racconta della campana cosiddetta ecumenica, dal peso di quaranta quintali, scolpita con le sette scene che rievocano i momenti più importanti nella vita del santo.
C’è il bassorilievo dello storico abbraccio tra Paolo VI e il patriarca di Gerusalemme Atenagora, nel 1964 e all’altro lato le figure scolpite di Giovanni XXIII e J. Kennedy, grandi operatori di pace.
Poi mi porta davanti al grande vetro che racconta uno dei momenti più belli del Vangelo, la parabola del figliol prodigo.

Il messaggio è inequivocabile: abbiamo tutti ancora del tempo per tornare a Dio, perché noi creature esistiamo solo in rapporto al Creatore e non per noi stessi.
In fondo alla grande aula, riempie gli occhi il bellissimo mosaico del Mistero Pasquale, opera di Ugolino da Belluno.
Croce e Resurrezione sembrano andare a braccetto come negli affreschi sacri del grande Piero della Francesca.

Ma perché, chiedo, questo grande successo per il giovane chierico passionista?
È solo questione di miracoli?
La risposta è semplice ma esaustiva.
Gabriele piace a tutti perché esprime i valori che tutti noi andiamo cercando: la voglia di vivere, di realizzarsi, di essere felici, apprezzando questo grande dono.
Il giovane santo piace ai malati perché si mostra debole di salute ma con una immensa passione per la vita, è adorato dagli studenti perché anche lui lo è stato, è amato da chi è deluso dalla vita perché è l’esempio di chi, coinvolto nelle grandi traversie, non si fa travolgere.
Ma sono i giovani in particolare a sentirlo vicino, perché la sua vicenda è una storia d’amore verso il mondo e soprattutto verso la Madonna.

Un sguardo rapido, purtroppo, al museo Stauros d’arte sacra contemporanea e la sua biblioteca con oltre diecimila volumi, che meriterebbe ben altro tempo, per andare nella vecchia basilica.
È qui che la storia si esprime al massimo attraverso l’arte in tutte le sue forme espressive, dall’architettura alla figurazione scultorea e pittorica della splendida cappella del Santo in stile neo gotico inglese con le sue colonne di granito rosa, i mosaici, le statue dell’Immacolata, di San Paolo della Croce e San Vincenzo Strambi, fino agli ex voto custoditi nel museo.

È proprio al suo interno che il mio affabile cicerone mi fa notare la finestra oltre la quale si scopre la parte superstite dell’antico originario convento francescano, il chiostro con al centro il pozzo che la tradizione vuole sia stato scavato, in parte, dalle mani di San Francesco.

Tutto, attraverso le parole di Padre Vincenzo, mi appare nuovo, nonostante sia venuto qui diverse volte: il coro in noce con intarsi in olivo, l’antico refettorio del 1300, la minuscola camera del “transito” di San Gabriele.
Tutto diventa catechesi, annuncio di fede, “via pulchritudinis” verso Dio.

Non rimane che pregare sulla tomba del giovane santo dove continuano ininterrotti i prodigi dal 1892. Tutti abbiamo qualcosa da chiedere!

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Articolo di Sergio Scacchia pubblicato sul blog Paesaggio Teramano collegato alla rivista omonima.
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Da Roma: prendere l`A24 verso Teramo, uscire al casello "S. Gabriele" e seguire le indicazioni per il santuario, che si trova a 3 km. - See more at: http://conoscere.abruzzoturismo.it/index.php?Canale=Dove&IDCanaleSub=29&IDCanaleSubSub=0&IDItem=518&ItemType=BC#sthash.lgCkeibR.dpuf
Per arrivare al santuario:
Da Roma: A24 verso Teramo, uscita San Gabriele - Colledara;
Da Bologna: A14 verso Teramo, uscita Teramo Giulianova, verso Teramo, poi A24 Aquila Roma;
Da Bari: Uscita Roseto degli Abruzzi, Statale 150 Teramo Villa Vomano, dopo 15 chilometri, Aquila Roma uscita San Gabriele-Colledara

Il santuario si trova a tre chilometri dall`autostrada A24 Roma-L`Aquila-Teramo.
• Da Roma: prendere l`A24 verso Teramo, uscire al casello "S. Gabriele" e seguire le indicazioni per il santuario, che si trova a 3 km.
• Da Bologna: prendere l`A14 verso sud, uscire al casello "Giulianova-Teramo", dirigersi verso Teramo e qui prendere l`A24 verso l`Aquila-Roma, uscire al casello "S.Gabriele".
• Da Bari: prendere l`A14 verso nord, uscire al casello "Roseto degli Abruzzi", prendere la statale 150 verso Teramo-Villa Vomano; dopo 15 km. imboccare l`A24 verso Roma-L`Aquila, uscire al casello "S. Gabriele".
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Il santuario si trova a tre chilometri dall`autostrada A24 Roma-L`Aquila-Teramo.
• Da Roma: prendere l`A24 verso Teramo, uscire al casello "S. Gabriele" e seguire le indicazioni per il santuario, che si trova a 3 km.
• Da Bologna: prendere l`A14 verso sud, uscire al casello "Giulianova-Teramo", dirigersi verso Teramo e qui prendere l`A24 verso l`Aquila-Roma, uscire al casello "S.Gabriele".
• Da Bari: prendere l`A14 verso nord, uscire al casello "Roseto degli Abruzzi", prendere la statale 150 verso Teramo-Villa Vomano; dopo 15 km. imboccare l`A24 verso Roma-L`Aquila, uscire al casello "S. Gabriele".
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Il santuario si trova a tre chilometri dall`autostrada A24 Roma-L`Aquila-Teramo.
• Da Roma: prendere l`A24 verso Teramo, uscire al casello "S. Gabriele" e seguire le indicazioni per il santuario, che si trova a 3 km.
• Da Bologna: prendere l`A14 verso sud, uscire al casello "Giulianova-Teramo", dirigersi verso Teramo e qui prendere l`A24 verso l`Aquila-Roma, uscire al casello "S.Gabriele".
• Da Bari: prendere l`A14 verso nord, uscire al casello "Roseto degli Abruzzi", prendere la statale 150 verso Teramo-Villa Vomano; dopo 15 km. imboccare l`A24 verso Roma-L`Aquila, uscire al casello "S. Gabriele".
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giovedì 26 giugno 2014

Casoli di Chieti: dove convive natura, arte e storia

La bellezza dell’Abruzzo a volte ti trafigge come un dardo di Cupido, anche solo attraversando un borgo, sorprendendoti dei panorami, delle case abbrunite dal tempo, di un’agricoltura antica che coniuga sapientemente produttività e piacere degli occhi.


Insomma, è lo sbalordimento di chi ama la sua terra e la vede come un incastro perfetto e quasi magico di pianure, colline e montagne.

Accade anche a Casoli di Chieti, antico villaggio fortificato nella valle del fiume Aventino e raccolto con le sue vetuste abitazioni attaccate al castello su di un colle affacciato sulla dorsale della Majella più aspra.
Arroccato sul bastione verde, pare un’astronave a fil di nubi.

Sotto vette prodigiose si estende anche una piccola pianura coltivata a girasoli e ulivi belli da mozzare il fiato.
I colori della terra, soprattutto in autunno, hanno i magici toni del marrone, ocra accesa e varie sfumature di verde.

Il paese si raggiunge affrontando un saliscendi di colline amene che dalla costa e i suoi abitati nuovi di cemento, portano fin sotto i picchi rocciosi.

Allontanandoci da grigliate, assembramenti e motori in strada, la vita pare più bella.
Casoli ha una storia più che millenaria.
È un concentrato di tracce che partono dalla preistoria, poi etrusche, romane, medievali e rinascimentali.

Da tempi antichissimi questo luogo ha, infatti, accolto importanti insediamenti abitativi e anche al turista frettoloso, quello del classico mordi e fuggi, offre forti emozioni.

Al visitatore non sfugge neanche la bonomia degli abitanti e la comoda lentezza di un piccolo paese in cui puoi guardarti intorno senza urgenze, cliccare istantanee, scambiare due parole con gli abitanti e fare un rapido viaggio nel tempo.

Tribù sannitiche hanno lasciato importanti resti del municipio creato dopo la guerra sociale avvenuta nella seconda metà del I secolo dopo Cristo, fra cui anche vestigia di secolari strutture termali che raccontano di un luogo ameno dove i Romani venivano a “passare le acque”.

Il tortuoso percorso che porta al castello ducale dove fu ospitato il vate Gabriele D’Annunzio, permette, inerpicandosi sulla collina, di scoprire vecchie viuzze dove il tempo pare essersi fermato.
Sono piccoli angoli segreti, autentiche gocce di medioevo.
Molti lungo il percorso sono gli edifici settecenteschi come i palazzi Tilli o De Vincentiis o ancora il De Cinque.

Se potessimo entrare, sicuramente scopriremmo stemmi gentilizi, stanze affrescate, raffinate scalinate.

La parrocchiale di Santa Maria Maggiore è aperta.
Qualcuno sta provvedendo alla pulizia.
M’intrufolo alla chetichella con passo felpato da cheyenne e scopro un bell’interno, impreziosito dal coro e da una bella tela cinquecentesca della Madonna del Rosario.

All’uscita incombe sulla mia testa l’imponente torre maggiore pentagonale del castello.
Affacciandosi dai muri perimetrali della fortificazione si ha la vista dell’Aventino e della valle del Sangro con sopra le montagne a circolo.

Non lontano c’è l’incantevole lago di S. Angelo, contornato da boschi di leccio tra straordinari scorci sulla Majella.
È un posto ideale per il birdwatching con un’antica torretta di avvistamento a difesa della valle.

Il castello ha l’ingresso a pagamento ma entrarci è importante, anche se alla fine sono un pochino deluso.
Ti aspetti comunque una sorta di Caronte all’ingresso e invece trovi una bella ragazza che, stendendoti il biglietto, regala suggerimenti di visita.
Le stanze del maniero parlano di D’Annunzio.

C’è anche in un angolo recondito una scrivania, dove pare che il Vate scrivesse rime.
Oggi c’è un piccolo gufo di legno dimenticato da qualcuno, forse antico talismano in grado di far emergere la vena artistica di chi lo tocca.

Il grande poeta fu ospitato più volte a fine ‘800, quando all’interno della rocca si costituì un importante cenacolo d’arte con incontri di elite tra pittori come Francesco Paolo Michetti di Francavilla, il musicista Francesco Paolo Tosti di Ortona, oltre a scultori e romanzieri.

E' utile ricordare che in ottobre viene celebrata ogni anno la grande festa dedicata a Santa Reparata, la patrona.

Nella chiesa a lei dedicata, dove si trova un bell'altare cinquecentesco e un tabernacolo a trittico su tavola di grande valore, si svolgono funzioni religiose e da lì parte la processione famosa delle "Conocchie", antica tradizione in cui i giovani sfilano in costumi tipici con in testa grandi conche piene di prodotti della terra.

Ora è tempo di muoversi.
C’è da visitare la Riserva Naturale del Lago di Serranella per osservare una delle zone umide più importanti d’Abruzzo.

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Articolo di Sergio Scacchia pubblicato sul blog Paesaggio Teramano collegato alla rivista omonima.
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Arrivare a Casoli e al lago da Nord e da Sud:

Dall'autostrada Adriatica A14 (da nord: in direzione di Ancona; da sud: in direzione Pescara),
uscire a Val di Sangro, seguire la direzione Villa S. Maria, prendere la SS 652 e seguire le indicazioni per Casoli.

Dalla città di Chieti: Prendere la SS 81 e seguire le indicazioni per Casoli.

martedì 24 giugno 2014

L’arte del vino!

Gesù, nell’Ultima Cena, alzando il calice, rese il vino, insieme al pane l’elemento costitutivo dell’Eucarestia e della vita di ognuno di noi.

Probabilmente a questo episodio, il più importante di quelli tramandatici dai Vangeli, la vite deve molte delle sue fortune.


L’Abruzzo contadino ha una solida tradizione di terra ricca di vitigni e inventiva che regala vini eccellenti per purezza, gusto e aroma anche in pezzetti di terra considerati minori per la produzione vitivinicola.
Uomini coraggiosi fanno comunque emergere un territorio che ha molto da far scoprire.

La storia di Renato è simile a quella di tanti di essi. Siamo nelle colline alte, quelle a ridosso dei Monti Gemelli tra Campli e Civitella del Tronto.
Di quel pezzetto di terra qualche anno fa lui si era proprio dimenticato.
Poco meno di venti pertiche, misura agraria usata nelle nostre campagne, quindici di esse fanno un ettaro.

Lo aveva ereditato tempo addietro dal nonno ed era incolto.
Poi un giorno il nostro amico, una vita di ufficio e scartoffie ad Ascoli Piceno, è andato finalmente in pensione, i figli ormai grandi ed ecco che è scattata quasi naturale, la felice intuizione.

Renato ha tolto faticosamente le erbacce, ha pregato un amico agricoltore di aiutarlo a una buona aratura, ha scoperto i segreti più reconditi della semina e della concimazione e, con macchinari inizialmente in prestito, ha reso il terreno, un piccolo tesoro.

Ha creato il suo mondo dai filari di viti, sopravvissute a prolungata incuria, sostenute oggi da meli, peri, ulivi, alternati a piccole strisce coltivate a frumento.

È l’antico metodo dell’”alteno”, un campo coltivato con piante di viti abbinate ad altre di fusto per far sì che la parte frondosa crei una sorta di tetto, un soffitto verde.

È una piccola vigna rupestre costruita attorno a massi di arenaria, che restituisce il sapore antico del vino “Pecorino” e quello deciso del “Montepulciano”.

“Proprio il pecorino ha qui, tra le colline che sanno già di montagna, il suo habitat naturale”, mi dice il buon Renato che oggi produce pochi quintali di nettare, un po’ per lui e altri già prenotati da clienti di vecchia data.

Poi mi racconta che il nome non è solo dato dalla storica transumanza dei pastori ma soprattutto per il particolare gradimento delle greggi verso i grappoli di uva, che si presenta con acini piuttosto piccoli, gustosi e croccanti.
Il suo minuscolo vigneto è quanto di più poetico ci possa essere.

Gli chiedo com’è l’annata 2013 e lui mostra la sua saggezza: “una vendemmia si giudica solo dopo che l’uva è nelle botti, anzi quando il vino è dentro la bottiglia”.
Poi si sbilancia, m’invita a guardare la vite pronta a dare i suoi frutti e capisco che i vini, con l’aiuto di Dio, avranno mordente, regaleranno buoni aromi e raccolti garantiti da piogge e temperature stagionali nella norma, insomma più sapore, meno alcool“.

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I monti Gemelli (Montagna dei Fiori di 1820 metri e Foltrone di Campli, 1721 metri), si collocano fra le città di Teramo e Ascoli Piceno, delimitate a est dalla S.S. 81 Piceno Aprutina. 
Le due montagne sono separate dal cuneo delle fantastiche gole del Salinello. 

domenica 22 giugno 2014

Blockhaus: terra di pastori e briganti


Il brigantaggio in Abruzzo ha radici antichissime, soprattutto nel territorio protetto della Majella.
Tra il Seicento e il Settecento e ancor prima nel Cinquecento con il famigerato Marco Sciarra e la sua banda, la povertà indusse gli uomini della montagna a unirsi nei saccheggi e nelle imprese delittuose.

Intorno al 1860, poi, una dura legislazione piemontese che disattese la riforma agraria, acuì i divieti e la povertà nel popolo, reprimendo sanguinosamente ogni forma di protesta.

C’è un luogo bellissimo, immerso nella natura, che ha una grande valenza storica.
Si trova nei pressi del Blockhaus, vetta che si affaccia sia su Chieti sia su Pescara, all’estremità settentrionale del parco Majella.

Qui i visitatori salgono attraverso le strade che da Pretoro, Roccamorice con gli eremi celestiniani o Lettomanoppello, porta fino ai duemila metri sia per sciare in inverno sia per respirare una boccata d’aria pura in estate.

Gran parte dei turisti si ferma al piazzale, perdendosi una passeggiata meravigliosa tra scenari montani bellissimi e pezzi di storia su pietre.

Incontri ravvicinati con pini mughi, rocce, animali come capre selvatiche, camosci, aquile, panorami sui selvaggi valloni di Selvaromana e Orfento, accompagnano gli escursionisti fino a un posto dove parla anche la storia.

Il sentiero è un vero viaggio nel passato.

Si incontrano i resti del fortino Blockhaus, costruito nel 1866, testimonianza di assoluta importanza del brigantaggio successivo all’Unità d’Italia, luogo anche di rifugio per i pastori e, soprattutto la cosiddetta “Tavola dei Briganti”.

Si tratta di una roccia piatta che si raggiunge facilmente con questo percorso segnalato e molto evidente grazie anche ai segnavia del CAI.

Il tracciato costeggia la cima di Monte Cavallo, scendendo verso i prati di Selletta Acquaviva.
Una piccola deviazione conduce alle iscrizioni su pietra.

Per capire meglio di cosa si tratta, tra le tante scritte, si legge ancora:
Nel 1824 nacque Vittorio Emanuele. Prima del 1860 questo era il regno dei fiori, oggi è quello della miseria”.

Arrivati in questa località dove si può riposare, fare picnic e bere acqua di sorgente, si torna indietro per la stessa strada e in tutto avrete impiegato meno di due ore. Si può scegliere di proseguire se si è allenati e un po’ esperti di montagna.

Il sentiero a mezza costa diventa più impegnativo fino al bivacco Fusco a 2500 metri da dove si apre un meraviglioso belvedere su uno degli anfiteatri più belli d’Abruzzo:
Le Murelle con branchi di camosci in libertà.

In meno di un’ora si conquistano i 2694 metri del monte Focalone, la vetta più a settentrione nella Majella, da dove la vista spazia alla vetta più alta del complesso, il famoso Monte Amaro.

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COME ARRIVAREA25 Roma-Pescara, uscita Alanno-Scafa, quindi SS5 direzione Scafa, prendere a sinistra per Pianopuccia, Lettomanoppello e Passo Lanciano. 
Da qui indicazioni per Majeletta e Blockhaus. 

sabato 21 giugno 2014

Così parlò Adriano De Ascentiis direttore dell’oasi dei calanchi di Atri

Grazie alla collaborazione del prof. Lucio De Marcellis, abbiamo realizzato un’intervista con Adriano De Ascentiis, direttore dell’Oasi dei Calanchi di Atri. 
Questa Riserva Naturale Regionale è uno dei gioielli naturalistici del teramano, non ancora conosciuta da tutti.
Istituita dalla Regione Abruzzo nel 1995, è diventata Oasi WWF nel 1999 e si estende per circa 380 ettari interamente compresi nel territorio del Comune di Atri (TE).

L’Oasi, direttore, meriterebbe più di una visita, vero?
Certo!
Il territorio protetto è relativamente piccolo, presenta un’estensione di circa 400 ettari, sviluppandosi dai 104 metri del fondovalle del Torrente Piomba ai 468 di Colle della Giustizia, ma offre una varietà di ambienti naturali incredibile.

L’assoluta singolarità geomorfologica dei Calanchi rende quest’ambiente un’esclusiva territoriale a livello nazionale.
L’area protetta conserva una delle forme più affascinanti del paesaggio costiero adriatico, i Calanchi, imponenti architetture naturali conosciute come “li Ripe” e ai più con il nome di “Bolge dantesche” o “Unghiate del Diavolo”.

L’aspetto aspro e impressionante delle rupi deriva da una forma di evoluzione erosiva dinamica dei suoli causata dall’alternarsi di periodi piovosi e siccitosi su suoli argillosi, spogliati e portati in superficie da passate deforestazioni.

I calanchi segnano tutta la fascia pede appenninica peninsulare, ma solo qui, nel territorio di Atri, caratterizzano così fortemente il paesaggio agrario.
All'interno dell'area è possibile osservare interessanti presenze faunistiche come il raro cervone o il tritone crestato, nelle ore notturne istrici, volpi, tassi e puzzole, lepidotteri, quali l’Odice suava o la Lasiocampa quercus e la bellissima Podalirio, ma anche falchi pellegrini, poiane, upupe e gruccioni che frequentano l'area nel periodo estivo.

Tra le presenze floristiche di particolare pregio, ricordiamo la liquirizia, coltivata un tempo a fini industriali, la tamerice, il cappero che punteggia le aride pareti calanchive, il Carciofo selvatico e la rara Centaurea napifolia.

Una delle peculiarità più gradite dai turisti è la recente ciclo-pedo-ippovia.

I visitatori la definiscono meravigliosa!
È un percorso naturalistico di 28,8KM che si snoda interamente nella valle del Torrente Piomba, piccolo corso d'acqua che sorge nel territorio di Cellino Attanasio (TE) e che sfocia in mare tra i comuni di Silvi e Città Sant'Angelo.

Il percorso ha inizio dal maneggio “Podere 3C La Sorgente”, localizzato sulla sponda sinistra del torrente, poco sotto l'abitato di Treciminiere, frazione di Atri, per poi proseguire all'interno del Sito di Interesse Comunitario (SIC) “Calanchi di Atri”, area per la protezione della biodiversità in ambito europeo, che insieme a tutti gli altri SIC e alle Zone di Protezione Speciale (ZPS) costituisce la Rete Natura 2000 e all’interno di essa ha luogo l’omonima Oasi WWF.

Il percorso, facilmente individuabile, attraversa alcuni dei luoghi più spettacolari e panoramici del territorio atriano.
Lungo il tragitto si ammirano sia le affascinanti architetture naturali dei calanchi, che la splendida cornice offerta dalle colline e dalla catena del Gran Sasso e Monti della Laga, che chiudono l'orizzonte.
Accompagnano gli escursionisti, campi fioriti, voli di rapaci e di farfalle e pareti rocciose.

Ci s’inoltra nel cuore dell'OLasi WWF “Calanchi di Atri” dove si ammirano dal belvedere San Paolo, le maestose piramidi di terra.
Lungo il percorso, grazie a bacheche didattiche, si accolgono preziose informazioni sulle aziende e i prodotti tipici e s’incontra la famosa e misteriosa Pietra di San Paolo, minuscola cappella utilizzata come luogo di culto pagano per rituali e cerimonie.

La segnaletica quindi è esauriente?

Le frecce che segnalano il percorso presentano una grafica essenziale e facilmente comprensibile.
La bicicletta indica un percorso per mountain-bike e il cavallo quello relativo dell'ippovia.

All'interno del riquadro con il simbolo equino si trovano utili indicazioni sulla chilometrica, ossia sul percorso che si effettua dal punto di partenza fino all'indicazione.
L'acronimo F.I.S.E (Federazione Italiana Sport Equestri), indica la certificazione della pista da parte della Federazione e con la cifra 01, la peculiarità rappresentata dalla pista in quanto prima ippovia certificata del Teramano.

Quali progetti state portando avanti per collegare Atri ad altre località con una rete di ciclo-pedo-ippovie?

Il Circolo “Il Nome della Rosa” di Giulianova e l’Associazione Itaca Faiete hanno organizzato un corso di euro progettazione con i fondi europei e noi abbiamo dato la nostra disponibilità per permettere ai corsisti di realizzare praticamente un project work sulle tematiche della nostra oasi.

Due delle corsiste, la dott.ssa Caterina Marina Sciarra e la dott.ssa Annamaria Scarponi hanno pertanto deciso di portare avanti un progetto di valorizzazione del turismo sostenibile sul territorio. Comprende un ampliamento della cicloippovia della Riserva Naturale Regionale Oasi WWF “Calanchi di Atri” fino a ricollegarsi alla ciclovia adriatica, completandone alcuni tratti finora mancanti e corredandola di certificazioni ambientali.

Questo, sia per i comuni aderenti al progetto (al momento si ipotizza possano essere i Comuni di Atri, Pineto, Roseto degli Abruzzi e Giulianova), con la Carta Europea per il Turismo Sostenibile, sia per le aziende e le strutture ricettive presenti lungo il tracciato.

La promozione di tale iniziativa sarà certamente diffusa con una campagna di comunicazione che cercherà di sfruttare tutti i canali mediatici a nostra disposizione.
Al momento il progetto è allo stadio preliminare, bisognerà incontrare tutti i portatori d’interessi che finora sono stati individuati e cercare delle fonti di finanziamento europeo che permetteranno la realizzazione di un progetto tanto ambizioso, quanto fondamentale per dare un nuovo slancio e una nuova identità al turismo sui nostri territori.

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Articolo di Sergio Scacchia pubblicato sul blog Paesaggio Teramano collegato alla rivista omonima.
Sul blog "Paesaggio Teramano" possibilità di visionare o fare il download dei numeri della rivista già pubblicati.
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Per informazioni: http://www.riservacalanchidiatri.it
Come arrivare:
A14, uscita di Atri-Pineto,
oppure A24, uscita Villa Vomano-Roseto degli Abruzzi, quindi strada statale 16 Adriatica.

In treno: stazione Atri-Pineto

giovedì 19 giugno 2014

Santo Stefano di Sessanio: Le atmosfere del tempo

(Tratto dal libro Il mio Ararat!)
“Fratelli, camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne.”(Galati 5,16)

Giuseppe Copertino ha 83 primavere sulle spalle.
Si definisce un contadino di montagna.
Incontrandoci, ci stende le sue mani ruvide e giganti che ricordano quelle esagerate di Gianni Morandi.
Ha una passione incredibile per la poesia.
Ne ha fatta una anche per i suoi mandorleti.

La valle qui ne è ricca.
Il terreno dell’improvvisato poeta, ne ha circa settanta, piantati dal nonno del nonno.
Un tempo erano una ricchezza, oggi chissà!
Sono gli unici alberi in una piana brulla che ci accompagna fino a Castel Del Monte.

Da queste parti, racconta Giuseppe, c’erano anche delle “nevaie”.
Servivano negli anni ’50, quando non esistevano frigoriferi.
Erano fosse lunghe anche una decina di metri, scavate e delimitate da muretti a secco.
La neve veniva tagliata in piccoli blocchi e portata con i muli fin su il paese per gli usi casalinghi.
In cambio di un bicchierino di liquore alla mandorla, naturalmente, ci vediamo costretti ad ascoltarlo nella declamazione dei suoi versi un po’ infantili ma dettati sicuramente dal cuore.

Nell’avvolgente tepore cromato del più classico tramonto di fine estate il borgo è più bello che mai.

Il terremoto ha cercato di invalidare questa meraviglia, facendo crollare la parte sommitale della torre medicea, ma la ferita non ha leso il fascino di questo posto fuori da ogni tempo.

Le facciate in pietra delle case hanno un riflesso di un rosa intenso.
Gli archi, i viottoli già illuminati dalla fioca luce di antichi lampioni incantano chi, come me, ama le piccole gocce di Medioevo che donano scorci di ineguagliabile stupore.

Le strette vie si aprono improvvisamente su piazze dai balconi in fiore.
Anziani dignitosi e ragazzi dall’espressione timida popolano il piccolo bar con i tavoli fuori.
Le ore passano scandite dal ritmico incedere delle carte da gioco buttate lì.
Un tre di bastoni schiocca secco sul tavolo come lacerante colpo di frusta, insieme ad una corposa bestemmia.

Sembrano interdette le donne vestite di nero che attraversano la piazza per recarsi al rosario.

Accanto, scivola con passo felpato il vecchio prete che corre a dire messa.
Le grida degli anziani nel concitato tressette della sera, non si curano di due forestieri come noi.

Le mani degli uomini sono come fitti pezzi di tronchi anneriti dal tempo.

Gli sguardi si sollevano svogliatamente dalla conta delle figure del gioco e di colpo le voci diventano simili a pietre che si sfregano bisbiglianti.

Dalla finestra, posta a livello della strada acciottolata, si percepisce distintamente il rumore metallico e ripetuto di un mestolo che gira un composto dal cui odore capisco abbia come ingredienti principali mandorle e miele.
Ma in tutte le vie c’è l’abbraccio amorevole dei profumi antichi di una terra povera, fatta da emigranti e venditori ambulanti che percorrevano le vallate con le loro chincaglierie.

Una leggenda poco nota anche agli stessi abitanti di oggi, narra che i paesani di tanti anni fa chiesero al diavolo in persona di costruire il paese in pietra.
Il satanasso li accontentò compiendo l’opera in una notte di fulmini e saette.
In cambio chiese l’anima del primo cristiano che avesse attraversato il borgo.
Dovette accontentarsi di quella di un povero cane affamato e per la rabbia, sprofondò nel fondo degli inferi.

Siamo in provincia dell’Aquila, a non più di una manciata di chilometri da noi.

Questo luogo dalla elegante e ben conservata architettura medioevale è unanimemente riconosciuto come uno dei più bei villaggi d’Italia dove mura, porte, archi, chiese, palazzi e torri deliziano i visitatori anche stranieri.

Un giornale inglese consigliava di lasciar perdere le colline del Chianti fiorentino per investire capitali in questa terrazza montana dove la vita e il suo tempo ha ancora un senso.
Dopo il sisma violento del 2009, l’interesse degli stranieri è scemato ma, chiunque cerca artistiche atmosfere, è nel posto giusto.

Decidiamo di passare la notte in paese, passeggiando e godendo di questo presepe dalla divina scenografia, di questa avventura deliziosa dello spirito.

Dormiremo in locanda.
Mi sembra di essere nato qui.
Un lampo attraversa la mia mente.
Santo Stefano dispensa anche delizie terrene.
È vero che, nella Lettera ai Galati, San Paolo esclama: “Fratelli, camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne”, ma la fame, vi giuro è terribile.

Davanti la porta d’ingresso mi sento quasi mancare all’odore persistente di una zuppa di legumi.
Ricordo che il paese è famoso anche per le sue lenticchie.
Un legume piccolo, di colore marrone scuro, la buccia ruvida ma il sapore delizioso e il profumo avvolgente.
Siamo già a tavola ad arricchire la nostra zuppa, con un prelibato olio che c’inebria.
Ci vengono servite anche delle lumache in guazzetto che non mi aspettavo.
Mi dispiace mangiarle.
Sono animali tenerissimi, simbolo di morte e resurrezione essendo capaci di fermare il proprio cuore all’inizio del letargo e rimetterlo in funzione in tempi propizi.

Le lumache vengono accostate alla luna per la loro abilità nell’apparire e scomparire nel guscio.
“Lo sa - ci dice l’oste - che sono gli unici animali che girano sempre a destra nel costruire la loro casa? Le lumache sono molto amate da Berlusconi”!
E giù a ridere sguaiato per una battuta che troviamo pessima.

“Ma i pochi sinistro giro - continua il maledetto - sono ricercati perché portatori di buona sorte”!
Il pecorino, che conclude una sontuosa cena, regala sensazioni non riportabili su carta.

L’oste, dallo sguardo compiaciuto e dalla pancia prominente, continua con le sue elucubrazioni non richieste.

Si affretta a spiegarci che questo legume ama i terreni calcarei di altura, apprezza con compiacimento la sublimazione della sua cucina, continua a spiegare che gli inverni lunghi e rigidi e le estati brevi e piovose non fanno che del bene alla qualità del legume.

Dopo cena, gonfi per il gran mangiare e storditi dalle chiacchiere dell’uomo e dai bicchieri, ci rituffiamo nel dedalo delle viuzze dove si respira ritmi lenti, in una rarefatta assenza di suoni, rotta solo dal rumore di qualche stoviglia, piccole note da un televisore che colpiscono come un rombo di tuono nel silenzio circostante.
Ci addormentiamo presto per essere svegli di buon mattino.

Dalla finestra della camera, l’alba dona colori tenui all’azzurro.
Guardo contro il cielo i profili lisci e curvilinei dei monti formare una magica geografia di zolle d’erba rarefatta.
Finalmente ho dormito su di un buon materasso.
La schiena ringrazia sentitamente.
La locanda è veramente accogliente.

Posta al centro del paese occupa un meraviglioso edificio che conserva ancora tracce evidenti del lontano dominio dei Piccolomini nel 15°e 16°secolo.

Dopo un buon caffè eccoci di nuovo a passeggio nel borgo antico per arrivare alla torre Medicea, posta nel punto più alto del paese. Rappresenta il monumento primario dell’intera struttura urbana.
Faceva parte di una catena di punti di vigilanza che aveva i suoi avvistamenti più importanti in Calascio e nel castello di Bominaco.

Guardo la torre ferita, ricordo la volta che venni proprio sotto il manufatto insieme agli amici di Bologna.

Allora era intera!
Si presentava in tutta la sua magnificenza.
A proposito di Bominaco, si raccontano storie incredibili sul maniero.
Lo si credeva infestato da un fantasma.
Un’anima maledetta vagava tra le pietre.
Era Pier Maria dei Piccolomini, soldato di ventura, assassinato mentre festeggiava il ritorno dalle battaglie, da un rivale in amore.
Pugnalato, fu gettato in un pozzo.
Pare che fosse tornato in vita per uccidere la donna e il suo amante.
La morte dei due è rimasta un episodio inspiegabile.
Santo Stefano ha l’architettura delle famose “case mura”, caratterizzate da camminamenti coperti e da unità abitative legate tra loro.

Scorgiamo ingressi con singolari archi in pietra e secolari arredi urbani.
Capiamo perché ci troviamo in uno dei paesi più belli d’Italia e perché l’Ente Parco abbia concepito proprio qui, un grande progetto di recupero e tutela in ottica strettamente conservativa di questo ingente patrimonio storico e architettonico.

La “Casa del Capitano” è un edificio gentilizio che visito di lì a poco, posto nella zona in cui si sta realizzando il grosso dei lavori di consolidamento.

Appena fuori del centro, antiche masserie rendono visibili tracce di storia segnata dalla vita e dalla cultura contadina.


Un’esistenza dura legata ad una economia difficile.
Tornando nel cuore del paese ci troviamo davanti al Centro Visite del Parco.

Una gentile ragazza dai capelli fluenti e lo sguardo magnetico, credendoci a digiuno della zona, informa che esistono facili passeggiate che portano alla Rocca di Calascio o impegnative escursioni sui monti della Piana di Campo Imperatore.
Parla di antichi tratturi usati dai pastori e oggi percorribili a cavallo o in mountain Bike.
Mi magnifica le lenticchie, la ricotta, lo zafferano.
Ci consiglia anche il menù! Maccheroni alla pecoraia, ceci in umido, spezzato di agnello e cicerchiata. Peccato rinunciare.
Noi tra qualche ora saremo davanti le pietre bianche della Rocca di Calascio.

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Articolo di Sergio Scacchia pubblicato sul blog Paesaggio Teramano collegato alla rivista omonima.
Sul blog "Paesaggio Teramano" possibilità di visionare o fare il download dei numeri della rivista già pubblicati.
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Come arrivare a Santo Stefano da Sessanio:
Da Nord: Dall'autostrada A14 seguire la direzione Ancona, uscire a Teramo/Giulianova/Mosciano Sant' Angelo, proseguire in direzione L'Aquila, imboccare l'autostrada A 24, uscire a L'Aquila Est, prendere la SS 17 in direzione di Pescara, svoltare in direzione di Santo Stefano di Sessanio.

Da Sud: Dall'autostrada A14 seguire la direzione Pescara, continuare in direzione Roma, prendere l'autostrada A 25, uscire a Bussi/Popoli, seguire le indicazioni per L'Aquila, continuare sulla SS 5 e poi sulla SS 153 in direzione Navelli, prendere la SS 17 in direzione di L'Aquila e proseguire seguendo indicazioni per Santo Stefano di Sessanio.

Dalla città de L'Aquila: Percorrere la SS 17 in direzione di Pescara, proseguire fino alle indicazioni per Santo Stefano di Sessanio.

martedì 17 giugno 2014

“La Via delle Abbazie”: magnifico percorso ciclo pedonale

In bici, sotto un cielo celeste come i colori a matita dei bambini, lungo il fiume che scorre placido nella valle dei templi e i paesi immoti sulle colline.

La ciclo turistica sul Vomano è un bellissimo itinerario che collega il mare alla Strada Maestra del Parco e, fino a Castelnuovo, è alla portata di tutti.

La biforcazione sul fiume Mavone, consente di raggiungere Isola del Gran Sasso e il suo santuario.


Poche indicazioni da parte dei comuni attraversati e, i turisti della costa in estate, potrebbero conoscere il nostro entroterra, per il percorso "La Via delle Abbazie".

Si parte da Scerne, ponte sul Vomano, Statale 16, risalendo la valle nell’argine sud, lato Pineto. Occorre una mountain bike o una city bike con gomme grandi.
La prima parte del percorso, ben tenuto dal comune, costeggia il fiume e s’incontra una zona verde adatta per una bella area di sosta.
Qualsiasi gamba può giungere al ponte di Fontanelle di Atri.
Attraversatolo, si inizia a costeggiare l'argine nord di Notaresco.
Di fronte c’è la splendida abbazia di Santa Maria di Propezzano.

In corrispondenza dell’altro gioiello romanico, San Clemente al Vomano, si punta verso la chiesa, lasciando l'argine alle spalle.
La deviazione è necessaria perché il fiume sta erodendo la sponda.

La grande sorpresa è l’incontro con Giuseppe Tupitti, artista e artigiano.

Nella sua casa, sul percorso, questo signore ha realizzato un piccolo museo privato, macchina del tempo.
Ci sono le trebbiatrici, cinque volte più piccole del normale, i mini trattori, le artistiche sculture di ferro battuto.
Un cartello avvisa: "Io con la vita mi diverto".

Raggiunta la statale, si costeggia il marciapiede nei pressi del ristorante “I Tre Archi”, poi dell'agriturismo “Il Cammino storto”.
Siamo vicini all'area industriale di Castelnuovo.
Fin qui, tutto facile.
In breve scopriamo la torre di Montegualtieri.

Attraversato il ponte, si entra nel territorio di Cellino.
Svoltando a destra, costeggiando il fiume a monte, si arriva a Piane Vomano e, per un saliscendi, alla località Taverna.
Più avanti c’è la diga con il lago artificiale di Villa Vomano.

Sulla statale Piceno-Aprutina, in prossimità del cavalcavia della superstrada A24, si svolta a sinistra per strade secondarie, superando la località Zampitti.
Dopo il bivio per Miano, quello di Spiano.
Una breve salita da percorrere a piedi introduce, a sinistra, per un tratturo che porta a Piane di Collevecchio.

È il tratto più difficoltoso ma anche più bello.
Si costeggia il fiume in un incontaminato bosco.
I Romani, qui, avevano costruito cisterne e terme.
I resti archeologici, affiorati su terreni privati e le locali acque sulfuree lo confermano.

Una nuova passerella conduce sulla destra del fiume, zona industriale.
In poche pedalate si avvista Montorio, la porta del Parco.


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Articolo di Sergio Scacchia pubblicato sul blog Paesaggio Teramano collegato alla rivista omonima.
Sul blog "Paesaggio Teramano" possibilità di visionare o fare il download dei numeri della rivista già pubblicati.
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Grazie infinite all'amico Lucio De Marcellis del Coordinamento Ciclabili teramane per la collaborazione preziosa!

Il percorso in mappa sul sito "Piste Ciclabili"