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martedì 29 novembre 2011

I boschi, pilastri della terra

Ho fatto una scoperta sulla strada del vivere le cose; la scoperta consiste nell’entrare nel gioco della creazione, come nella più semplice e meravigliosa strada per incontrare il Creatore”.
(Carlo Carretto)

L’autunno, dice lo scrittore e giornalista Giovanni Scipioni reporter puntuale delle bellezze del mondo, è la stagione di mezzo come la terra creata dalla fantasia del mitico Tolkien.
È una grande rielaborazione dell’estate della quale conserva la gioia di vivere a contatto con la natura.

Gli americani che hanno il pallino del business, in autunno organizzano weekend per far “foliage” e guardare le particolari sfumature di colore delle foreste del Maine, del Vermont, New England negli “unexpected places”, ovvero lì dove meno te le aspetti.

Chissà perché noi che assimiliamo tutte le manie d’oltre oceano, non abbiamo ancora sviluppato questo tipo di turismo verde!
Anche nelle meravigliose foreste di casa nostra, le foglie si presentano ormai tinte di venature gialle, rosse e marroni e determinano uno show incredibile di sfumature che nessun libro o articolo, o foto può narrare compiutamente.

Today, the landscape is ablaze, with a myriad of vibrantly, colored leaves, brilliant shades of ochre, orange and vermillion”.

Sono le belle parole di una poesia americana che esalta la bellezza delle foreste colorate.

E allora perché non regalarsi un weekend alla scoperta dei nostri boschi?

In Abruzzo si trovano distese sconfinate non solo nel cuore dei monti della Laga teramani, ma anche in Majella dove, ad esempio, la gola dell’Orfento propone, soprattutto in questa stagione, uno tra gli spettacoli più emozionanti che la natura possa offrire.

Le foto a corredo dell’articolo mostrano qualcosa in proposito.

Pareti calcaree, rocciose, strapiombanti che si aprono a cavità vertiginosamente affacciate sul fiume, a incidere profondamente il versante nord occidentale del complesso.

E’ la dorsale più elevata del massiccio che collega il Blockhaus con il monte Focalone, i Tre Portoni, Pescofalcone.

Un solco gigantesco, rivestito di fitte faggete oggi in quadricromia e popolato da lupi, cervi, caprioli, tassi, cinghiali, orsi, poiane, falchi pellegrini e aquile reali.

Un mondo magico pieno di colori autunnali che, in pochi chilometri, scende dai 2676 metri fino ai quasi 600 del paese di Caramanico, tra boschi, cascate ed eremi, nella parte santa della Majella, la “Domus Christi” come la definì il Petrarca.

Anche vicino casa riusciamo a partecipare allo show della natura.

Uno studio dell’università della Tuscia di Viterbo ha identificato, nel Parco nazionale del Gran Sasso, tre boschi infinitamente vetusti.
Piccoli lembi tutti da scoprire come la faggeta di Fonte Novello di tredici ettari, dell’Aschiero di appena tre ettari nel comune di Pietracamela e il frassineto di Valle Vaccaro di Crognaleto.

Ovunque è possibile trovare alberi di notevoli dimensioni e vivere i colori della natura come accade per le più famose faggete della Martese di Rocca Santa Maria, di San Gerbone al confine con le Marche ascolane, di Pietralunga di Castelli, del Colle della Pietra e Tignoso sempre nel comprensorio di Crognaleto.

Come dimenticare poi, i boschi del Gran Sasso isolano, dove gli alberi crescono lentamente, senza fretta.

La loro fibra elastica acquista vigore e si slancia verso il cielo solo dopo aver costruito fondamenta solide e robuste.

Meraviglie vegetali che fanno pensare ai “Pilastri della terra”, il superbo romanzo di Ken Follett.

Atmosfere nordiche al centro del Mediterraneo!

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Articolo redatto da Sergio Scacchia, autore tra l'altro di tre libri:
"Silenzi di Pietra" e "Il mio Ararat" e "Abruzzo nel cuore".

L'articolo è stato pubblicato su 2 blog
(blog della Città di Teramo - blog di Pensieri Teramani)
e su 2 pagine Facebook
(Il blog della città di Teramo e della sua Provincia - Il mio Ararat)

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domenica 27 novembre 2011

La Majella come il Tibet

Gli spazi sono aperti tra fertili pascoli e foreste fitte.
La montagna tace regalando silenzi infiniti.
Poi, il restringimento degli spazi comprime lo sguardo che si perde tra le pietre che custodiscono importanti testimonianze del Medioevo cristiano.

Il cielo ora è soltanto una striscia sottile.
La strettoia che si deve percorrere strisciando con mani e piedi a terra è una vertigine che ingoia proiettando il visitatore in una esperienza indimenticabile tra natura e spiritualità.

L’eremo di San Giovanni all’Orfento nel parco della Majella è uno dei tuguri più affascinanti frequentati nei secoli da impavidi anacoreti.

È anche uno dei più complicati da raggiungere.

Un percorso naturalistico attraverso paesaggi che si moltiplicano alla vista esaltando l’immensa biodiversità della montagna madre.

Il sentiero s’insinua nelle pieghe della roccia, chi vuol conoscere deve accasciarsi a terra lungo un’angusta cengia a strapiombo per poter giungere nel cuore dell’anfratto e scoprire il minuscolo altare e le inquietanti nicchie alle pareti.

Solo così potrà scoprire la devozione che animava gli uomini di un tempo, soltanto in questo modo potrà capire quanto l’ingegno umano nell’arte dell’arrangiarsi, abbia realizzato creando un efficiente e complicato sistema per convogliare in una cisterna, tutta l’acqua buttata giù dal cielo.

Il mondo cambia ad ogni istante e muta anche dentro l’escursionista che viene assalito dalla percezione di essere infinitamente piccolo.

Sono alcune delle sensazioni che si vivono visitando gli eremi opera infaticabile di Pietro da Morrone, papa Celestino V°.

Ora, finalmente, è stata formulata in maniera ufficiale, una proposta- appello per candidare questi luoghi dell’anima come patrimonio mondiale dell’umanità.

Un documento, firmato congiuntamente dagli amministratori locali della montagna comunali e provinciali, da studiosi e associazioni ambientaliste, è sulla scrivania dei dirigenti dell’Unesco e in molti nella petizione ricordano che in mezzo a questo severo ambiente, tra rocce dalle forme curiose, si trovano i segni indelebili di una vita religiosa, intensa e ascetica.

Eremi a volte difficilmente accessibili, da San Bartolomeo a Legio fino a Sant’Onofrio, chiesine rupestri e sentieri un tempo percorsi da monaci e pellegrini, raccontano di luoghi mistici dove la religiosità popolare, dettata da figure imponenti come quella del piccolo frate Pietro, diventa valore aggiunto del turismo naturalistico.

Il “nuovo Tibet” lo vogliono chiamare.

In tempi non sospetti noi l’avevamo intuito e scritto.
Così come accade per la gola del Salinello nei monti Gemelli del teramano, anch’essa zeppa di eremi, la presenza di tanti luoghi devozionali in Majella, può trovare riscontro solo nelle lande meditative himalayane.

Come ebbe a scrivere Riccardo Carnovalini, fotografo naturalista, autore di libri e reportage anche televisivi, sarebbe importante proporre un connubio tra natura, religione e arte, tra percorsi a piedi e su ferrovie secondarie, ricalcando le orme del monaco eremita e papa del “grande rifiuto”.

Si potrebbero così scoprire grotte e cenobi sospesi nel vuoto in un cammino che insegni a viver bene eliminando dalla nostra vita il superfluo che la rende vacua e priva di vero significato.

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Articolo redatto da Sergio Scacchia, autore tra l'altro di tre libri:
"Silenzi di Pietra" e "Il mio Ararat" e "Abruzzo nel cuore".

L'articolo è stato pubblicato su 2 blog
(blog della Città di Teramo - blog di Pensieri Teramani)
e su 2 pagine Facebook
(Il blog della città di Teramo e della sua Provincia - Il mio Ararat)

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sabato 26 novembre 2011

Ruspe a Martese di Rocca Santa Maria, nel borgo dedicato al dio Marte!

L’ultima volta che avevo visitato il borgo abbandonato di Martese, puntino indefinibile sulla mappa nei pressi dell’abitato di Rocca Santa Maria, era sempre autunno.

Ricordo il vento e la luce prodigiosa di quella domenica dello scorso anno.

Il minuscolo paese, affogato nella sterpaglia tra topi e serpenti, invitava ad un eremitaggio perfetto in simbiosi con la terra.
Le magiche sensazioni provenienti dal passato, si univano all’emozione trasmessa da un paesaggio incredibilmente bello.
L’architrave di una finestra con la data del 1772, apriva uno squarcio sulla storia.

Tra un sipario e l’altro di nubi comparivano, come ciclopi di pietra, le creste del Pizzo di Moscio e del monte Gorzano.
Persino le case sventrate e ingiuriate dal tempo, il pugno di tetti crollati e i monconi di mura, destavano ammirazione.

Le vecchie abitazioni, irrimediabilmente mute, di una rusticità ancora orgogliosa, continuavano a trasmettere il calore di famiglie ormai scomparse.

Sui rami del vecchio fico alle porte del paese, si erano raccolti decine di uccelli selvatici che sparavano trilli incredibili e schiamazzavano come vecchie comari che riempiono del loro chiacchiericcio una piazza.

Ricordo che pensai alle parole del giornalista Paolo Rumiz che, parlando di rovine, ebbe a dire che saranno pure sinistre, ma piene di storie e che i morti fanno sempre meno paura dei vivi.

Quell’essere in una terra di nessuno, quel visitare uno spazio dove non era voluto rimanere nessuno ti eleggeva cacciatore di segreti.

Che bello che era lo sbecco di un comignolo che resisteva su di un tetto semi crollato in mezzo a un ginepraio irto di spine e cespugli di more. Pareva quasi che gli antichi inquilini proteggessero la loro privacy in questo bazar impazzito di valli e cime.

Tornarci ora e trovare le misere case imbracate come unico cubo di tufo è stato un colpo al cuore.

Martese non è più rassegnata all’abbandono.
Oggi è interamente in ristrutturazione.
Ruspe, gru e operai a lavoro squarciano il silenzio di lunghi anni.

Le maestranze che hanno realizzato l’albergo diffuso di Santo Stefano di Sessanio, stanno mutuando anche qui la fortunata esperienza aquilana.

Presto le mura scrostate e screziate di marrone con pietre in ocra di tinte ammuffite dal tempo e incredibilmente intonate con il paesaggio, lasceranno il posto a nuove abitazioni che, dicono, saranno rispettose del passato.

E da queste parti, inglesi e americani saranno di casa.

Speriamo che saranno salvati alcuni particolari stilistici di tutto pregio che caratterizzavano Martese come l’arco che si apriva sulla strada maestra con attorno le abitazioni e che si preservino le tecniche costruttive e i materiali tipici del luogo.

Molte altre iniziative di società private si stanno muovendo per acquisire immobili da recuperare in altri antichi abitati tra i monti Gemelli e la Laga come Tavolero, Magliano, Serra, Valle Piola, Santa Cecilia.

Un nuovo dinamismo investirà questi paesi che potrebbero diventare volano di sviluppo per nuove attività di servizi turistici, che permetterebbero ai giovani di tornare a vivere e lavorare in questi luoghi.

Ma il punto cruciale è: riusciranno le nostre montagne a conservare la propria identità, le proprie radici?

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Articolo redatto da Sergio Scacchia, autore tra l'altro di tre libri:
"Silenzi di Pietra" e "Il mio Ararat" e "Abruzzo nel cuore".

L'articolo è stato pubblicato su 2 blog
(blog della Città di Teramo - blog di Pensieri Teramani)
e su 2 pagine Facebook
(Il blog della città di Teramo e della sua Provincia - Il mio Ararat)

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venerdì 4 novembre 2011

Presentazione del libro "Il Mio Ararat" presso la Banca di Teramo

Alle 18 presso la Sala Gambacorta della Banca di Teramo è stato presentato il libro "Il Mio Ararat", l'ultimo lavoro editoriale di Sergio Scacchia.

Il video della manifestazione, realizzato da Vincenzo Cicconi della Pacotvideo, è stato diviso in tre parti.

Nella prima parte Pasquale Iannetti, guida alpina del Gran Sasso d'Italia e titolare dell'associazione Teknoalp presenta "Vite vissute in montagna", la terza edizione della rassegna sulla cultura di montagna.



Nella seconda parte Lucio Albano, editore della casa editrice La Cassandra Edizioni, intervista l'autore del libro Sergio Scacchia.



Nella terza parte vengono proiettate su un megaschermo le foto di Alessandro De Ruvo, autore delle foto pubblicate all'interno del libro "il Mio Ararat".



Con il libro "Il Mio Ararat" Sergio Scacchia fa il resoconto di una lunga traversata sulle montagne dell'Abruzzo teramano e aquilano ricco di suggestioni, riflessioni personali e ricordi.

Dopo il successo di "Silenzi di pietra", questo secondo libro di Sergio Scacchia racconta l'esperienza di viaggio di due amici impegnati in una serie di spettacolari escursioni attraverso il cuore di due province, quella teramana e quella aquilana, tra luoghi meno conosciuti come i misteriosi monti della Laga, e zone più note e frequentate come le cime e i borghi del Gran Sasso.

Il titolo prende spunto dall'Ararat, la montagna dove si arenò l'Arca di Noè dopo il Diluvio Universale, la vetta sacra che angeli, con spada e fuoco, rendono da sempre inaccessibile ai piedi umani.

Ne "Il mio Ararat", oltre alla consueta partecipazione di Massimiliano Fiorito che illustra in una sezione apposita alcuni percorsi facili e adatti alle famiglie, ci sono anche ben 32 pagine fotografiche di Alessandro De Ruvo, ad impreziosire il lavoro con i suoi stupendi scatti fotografici che narrano, in immagini, il percorso effettuato a piedi.

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Riprese di Vincenzo Cicconi della Pacotvideo.
Il primo video ha una durata di 7 minuti;
Il secondo video ha una durata di 27 minuti;
Il terzo video ha una durata di 10 minuti;

Entrambi sono stati pubblicati su alcune pagine Facebook:
1 - Produzione Video a Teramo (Abruzzo) - PacotVideo.it di Cicconi Vincenzo
2 - Il blog della città di Teramo e della sua Provincia
3 - Il mio Ararat di Sergio Scacchia

Inoltre sono stati pubblicati su tre canali di video sharing gestiti dalla PacotVideo:
Vimeo (1 - 2 - 3) - Blip.TV (1 - 2 - 3) - Kewego (1 - 2 - 3).

Articolo, foto e video sono inoltre visionabili su tre blog anch'essi gestiti da Vincenzo Cicconi della Pacotvideo:

- blog della Città di Teramo
- blog della PacotVideo
- blog di Pensieri Teramani

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Sergio Scacchia, è autore tra l'altro di tre libri: "Silenzi di Pietra" e "Il mio Ararat" e Abruzzo nel cuore.

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