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lunedì 5 agosto 2013

Le singolari storie della Santa Patrona di Cesacastina

Un grazie dal profondo del cuore al caro Alessandro de Ruvo per le sue ineguagliabili foto dei paraggi dove gustiamo fra l'altro le Cento Fonti e a Concetta Zilli per le storie di montagna che mi racconta, affascinandomi! 

 
“Anche se parlo la lingua degli uomini e degli angeli e ho una fede da spostar le montagne, se non avrò Amore sarò nulla.” (San Paolo)


Arrivando a Cesacastina dalla località Colle, andando verso la montagna, s’incontrano i ruderi della chiesa dedicata a Santa Maria Maddalena, una delle sette sorelle come usavano chiamarle gli anziani.

Le chiese, si credeva parlassero tra loro, comunicando con gli sguardi delle Madonne: quella di Cesacastina vedeva il tempio della madonna della Tibia di Crognaleto che, a sua volta, scorgeva la chiesa di Aielli e così via di seguito, toccando sette paesi vicini.


Purtroppo questa costruzione sacra quasi non esiste più.
 È crollato il tetto ma il perimetro è rimasto e si vede anche la finestra.

La storia è singolare ed intrigante: non inquadrabile in nessun periodo, la sua origine pare collegata ad un monastero che gli anziani raccontano si trovasse a metà montagna.

Il pastore Elia, oggi ancora vivente, crede di sapere dove siano i pochi ruderi.
Pare che all’interno del luogo sacro, vi fossero dei frati alchimisti, bravissimi a curare le più svariate malattie.
Fuori dal monastero doveva esserci un lebbrosario dove si curavano i crociati di ritorno dalla terra santa che poi venne chiuso intorno al 1500.

È ormai sicuro che in cima a queste montagne, oggi dimenticate o quasi, passasse la strada romana consiliare, che collegava l’allora capitale del mondo, alla terra degli infedeli musulmani.
Più a valle, accanto al fiume Vomano, c’era anche una piccola “via della seta”, calpestata nel corso dei secoli da mercanti, pellegrini, soldati, artisti e contadini.

Queste arterie di ampia comunicazione facevano viaggiare la geometria, l’astronomia, la conoscenza.
Sulla groppa di cavalli carichi di mercanzia viaggiavano anche le idee di civiltà in civiltà, di paese in paese.

Tornando ai frati, si racconta avessero in custodia la statua lignea di Maria Maddalena, santa più che chiacchierata all’interno del mondo cattolico.

I poveri religiosi morirono tutti insieme per colpa di una vipera, introdottasi nella damigiana del vino.
Immaginate un po’!

Tutti i frati avvelenati insieme da un povero serpente, affogato nel liquido.
Certamente non credibile, che dite?

La presenza ingombrante di una santa controversa, il passaggio per la Terra Santa, il presunto avvelenamento collettivo dei fraticelli, le sette sorelle, l’olmo secolare, tesori e ricchezze sepolti nei dintorni, hanno più volte indotto gli studiosi a credere alla presenza inquietante dei templari.

Non sarà che il Santo Gral, la misteriosa reliquia e’ tra i nostri monti?
Si spiegherebbe anche così la grande presenza di chiese in tutti questi paesini sperduti, sede strategica e luoghi di ristoro morale e spirituale per le truppe partecipanti alle prime Crociate, quelle promosse da Papa Urbano II di Cluny.
Già, le crociate!

Furono sì una coraggiosa difesa dei fratelli di fede, minacciati dall’espansionismo islamico, una sorta di pellegrinaggio armato, ma ebbero risvolti così cruenti, da perdere presto ogni significato religioso.
Un flusso incontenibile di penitenti, lento e maestoso, che si diresse verso Gerusalemme tra due ali di lance brandite da coloro che San Bernardo da Chiaravalle definì “Cavalieri di Dio”.

Qualcuno, molti anni fa pare abbia ritrovato un medaglione con impressa la croce ad otto punte, la Stella Mattutina tanto cara ai Templari che veniva stretta in mano durante le preghiere.
Sarà vero, sarà falso?

Credo che se riuscissimo a fare un passaparola potrebbe verosimilmente, accadere quello che si è registrato in Basilicata dove questa notizia tarocco ha incrementato in maniera esponenziale il turismo dei curiosi e dei credenti.

Tornando al monastero di Cesacastina, si racconta che dopo la morte dei frati, a distanza di tanti anni, fu ritrovata la statua lignea della Maddalena e si decise di portarla al paese, nella chiesa della Villa.

L’effige, misteriosamente spariva ogni volta dal tempio, per essere poi ritrovata all’interno del vecchio convento tra le balze rocciose.
Si costruì questa nuovo luogo sacro, più vicino alla montagna, con la finestra aperta proprio verso il vecchio monastero in modo tale che la statua potesse vederlo: da allora la leggenda racconta che la Maria Maddalena in legno è rimasta ancorata al suo posto!

L’Abruzzo è una regione dove ancora sopravvivono superstizioni, pratiche magiche, culto di reliquie, riti di stregoni e fattucchiere, cerimoniali e preghiere contro spiriti maligni.
C’è un racconto che mi ha impressionato.
Sotto le grondaie del tetto della chiesa, si seppellivano i bambini nati morti.
I piccoli sventurati non erano degni del cimitero perché non battezzati.

La pioggia che scendeva dalle tegole, avrebbe lavato il loro peccato originale.
Lì sotto e’ pieno di corpicini, tanti erano i decessi neonatali.

Proprio vicino al tempio, c’è l’acqua di Santa Maria Maddalena: un rivoletto fatto davvero di poche gocce che sgorga non si capisce bene da dove, e sia d’inverno che d’estate, è sempre ai minimi termini.

È consuetudine il 22 luglio, giorno dedicato alla Santa patrona di Cesacastina, andare a prendere e bere quest’acqua benedetta.

(Tratto da Il mio Ararat, Cassandra Edizioni)

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Articolo di Sergio Scacchia pubblicato sul blog Paesaggio Teramano collegato alla rivista omonima.
Sul blog "Paesaggio Teramano" possibilità di visionare o fare il download dei numeri della rivista già pubblicati.
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domenica 9 giugno 2013

L’Istituto Milli di Teramo sui monti della Laga per il “Progetto Ambiente”.

Ho potuto organizzare un bel percorso didattico di cultura dell'ambiente per dei giovani studenti entusiasti all'Istituto Milli di Teramo. Incontri in aula per parlare della provincia teramana meno conosciuta ma tra le più belle realtà locali. Una giornata in montagna da non dimenticare! Grazie a tutti per questa esperienza gratificante.
 Sergio Scacchia 

Il Primo Cittadino di Crognaleto, Giuseppe D’Alonzo, è figlio del popolo della montagna: tosto e accogliente.
Orgoglioso del suo territorio e innamorato delle proprie radici.

È la piacevole sensazione che riceve chi lo incontra per la prima volta.

Dopo l’accoglienza riservata agli studenti e studentesse del “Giannina Milli” di Teramo in visita nei monti della Laga, ne abbiamo certezza.

È terminato, infatti, in bellezza a Cesacastina, con un pranzo gustosissimo a base di prodotti locali e un buffet di dolci bontà preparato dalle disponibili signore del paese, il progetto ambientale per le seconde classi dell’istituto teramano diretto dal professor Di Giannatale, penna conosciuta ai lettori dell’Araldo, autore di numerosi libri.

All’incontro con i ragazzi e i professori, erano presenti la giunta comunale con l’assessore Orlando Persia, il vice sindaco Scipioni Loreto, l’assessore del Bim e consigliere Zilli Giuliano oltre al presidente della Pro Loco di Crognaleto Cesare Quaranta e il vice presidente Francesco Maggetti.

Dopo diversi incontri nelle aule scolastiche in cui ragazzi e ragazze sono stati stimolati sulla necessità per le giovani generazioni di salvaguardare il creato e, dopo aver parlato di ghost town, tradizioni, arte e borghi montani della nostra provincia, si è pensato di dedicare sabato 25 maggio a un’uscita in ambiente.

Gli studenti, accompagnati dai professori, sono stati invitati a scoprire il fascino senza tempo di borghi in pietra come Crognaleto, Cesacastina, Frattoli, Cervaro.

I ragazzi hanno potuto vedere di persona il lavoro dell’ultimo scalpellino dei monti della Laga, Serafino della famosa dinastia Zilli, cimentandosi nella lavorazione della pietra sotto gli occhi attenti del maestro.

Hanno poi avuto la possibilità, con una gradevole camminata, di raggiungere la balconata di arenaria a oltre mille metri di altezza da dove si gode una vista stupenda su tutte le vette del Parco e dove si trova l’antica chiesa rupestre della Madonna della Tibbia.

Qui sono stati raggiunti dal parroco Don Giuseppe Lavorato, pastore delle anime di dodici comunità locali di montagna.

Il giovane sacerdote, con l’entusiasmo che lo contraddistingue, ha parlato fra l’altro, della bellissima tradizione che riguarda l’immagine sacra della Vergine di Crognaleto e l’edificazione della chiesa per grazia ricevuta.

Gli abitanti di Crognaleto hanno offerto una ricca colazione in quota. Poi, con Concetta Zilli, organizzatrice dell’intero programma, il gruppo si è recato nelle parrocchiali di Frattoli e Cesacastina per ammirare gli altari lignei barocchi che arricchiscono i fantastici interni.

Grazie all’interessamento delle popolazioni locali il giovane gruppo ha potuto ascoltare le storie coinvolgenti del passato e i problemi che hanno vissuto e vivono tuttora le comunità d’alta montagna.

A Cesacastina, con grande disponibilità, il sindaco ha risposto con entusiasmo a tutte le domande formulate dagli studenti, auspicando in futuro altri incontri con le studentesche teramane.

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Articolo di Sergio Scacchia pubblicato sul blog Paesaggio Teramano collegato alla rivista omonima.
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giovedì 6 giugno 2013

Itinerario: la Valle delle Cento Fonti

Dislivello: circa 600 metri
Tempo di salita: 2.15 ore
Discesa: 1.30 ore.
Difficoltà: E
Itinerario parzialmente segnato (bianco-rosso)

Da Cesacastina si va per Colle della Pietra sino alle Piane, superato un campo sportivo si gira a sinistra e si raggiunge il ponte sul “Fosso dell’Acero”, poi si parcheggia a m1320.
Si può giungere a piedi dal paese prendendo ad ovest la pista che supera un’antica fonte in arenaria a m1157, costeggia a destra il Fosso dell’Acero e poi si immette sulla strada che si segue per 300m verso sinistra.

Sulla destra una stradina con catena porta ad un rifugio dell’Enel (m1352).
Si risale, per un piccolo sentiero, una valletta erbosa.
In alto si piega a destra per prati e si entra nel bosco, attraversando un piccolo fosso verso destra.

Ci si tiene sul dosso tra il piccolo fosso attraversato e quello dell’Acero e ci si allontana gradatamente sino ad immettersi in una sterrata che si abbandona ad un tornante.
Si segue a destra un largo sentiero che porta ad una radura affacciata su una cascata.
Si costeggia il torrente, parallelamente alla lunghissima lastronata su cui scorre e si esce dal bosco, dopo avere attraversato un ruscello verso destra.

Estrema attenzione a costeggiare i torrenti e non attraversarli perché si rischia molto!
Per dossi erbosi si raggiunge una seconda cascata e, scavalcata una sterrata che proviene da destra, la Sorgente Mercurio (m1800). Si sale liberamente nella larga “Valle delle Cento Fonti” solcata da fossi e si punta nella direzione della Sella di Gorzano.

Alla testata della valle si piega decisamente a sinistra (ovest), raggiungendo per un ampio dosso la cima più alta della Laghetta (m2372).




Gli articoli inseriti nella rivista sono redatti da Sergio Scacchia, autore tra l'altro di tre libri:
"Silenzi di Pietra" e "Il mio Ararat" e "Abruzzo nel cuore".

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giovedì 30 maggio 2013

Cesacastina: di pietra, acqua e legno

Un grazie di cuore a Concetta Zilli per la sua preziosa collaborazione nel farci conoscere un paese unico!

Tre parole caratterizzano il paese di Cesacastina, a 1150 metri, nei monti della Laga teramani: pietra acqua e legno.

La pietra e’ stata per secoli la regina.
Ha creato case, strade, muri, è stata utilizzata per altari di chiese, fontane, tabernacoli.

Gli elementi lapidei sono l’anima di questi luoghi.

Il legno dei boschi ha fatto innalzare tetti con travi a vista, ha dato modo di realizzare pavimenti o scuri delle finestre.
È stato sostegno nei lunghi e freddi inverni.

L’acqua è la grande ricchezza di questi luoghi, abbondante e di eccezionale qualità; ha dato forma a ruscelli e fiumiciattoli, cascate e laghetti.

Cesacastina ha una scenografia di grande impatto.
Il paese ha la forma di una croce e, ad ogni estremità corrisponde una borgata: colle, villa mastresco e combrello.
Ognuna di queste zone è a sua volta un piccolo paese con le abitazioni in pietra locale di arenaria, squadrata, solidissima, resistente ai terremoti.

La parte più antica e’ il combrello, contrada “scomoda”, posta in pendenza e per questo la prima ad essere abbandonata dai suoi abitanti.
Secoli fa qui era presente un monastero.
Ecco il perché delle epigrafi in latino, dei moniti, le lodi e i segni d’ispirazione gesuita come le lettere IHS in cui l’H e’ sormontata dalla croce.

Ancora oggi, su un architrave, in piazzetta, si legge un monito inquietante del settecento: DESCENDANDT IN INFERNUM VIVENTES, NE DESCENDANT MORIENTES, se si pensasse più all’inferno da vivi, non ci si andrebbe da morti.
Nel chiuso di una di queste case si trova uno splendido camino fatto in pietra pregiata nel 1780.

Il manufatto è imponente, inciso con fioroni ritorti ed uccelli alati, angeli, grifi con code di leone.

Nella contrada Mastresco c’è una chiesina che può contenere circa venti persone, dedicata all’Immacolata Concezione, dove la messa viene celebrata solo l’8 dicembre.
 Negli anni trenta, nella borgata si contavano più di cento persone tutte con lo stesso cognome: Romani, Marrocco, Tomò.
I capi di bestiame erano oltre cinquemila di cui la metà di proprietà di Samuele Marrocco.

Un discendente della famiglia continua la tradizione pastorale deliziando con la sua ricotta ed il formaggio.
Era qui che lavoravano i più bravi “archire”, intarsiatori di legno, abili nel realizzare le famose arche e madie dove si preparava il pane e si conservavano le scorte di cibo in assenza del frigo.

Le più belle erano incise con una specie di compasso, con motivi di fiori stilizzati.
Di pregio vi era anche il mulino gestito da due donne, cosa insolita per i luoghi e i tempi.

La Villa e’ la borgata centrale.

Vi si erge la bellissima chiesa dedicata ai SS Pietro e Paolo, con la facciata seicentesca e il campanile a vela a tre campane.
Questi bronzi, nei giorni di festa grande, vengono suonati ancora a mano, tirando le funi con una tecnica che pochi conoscono.

Se non vengono agitate le corde con l’esatto sincronismo, infatti, non si ottiene la melodia esatta dei rintocchi.

Due devono essere i suonatori, uno che agita una campana, mentre l’altro che deve trovare il giusto ritmo nelle braccia per tirare le funi delle altre due.
Un terzo uomo e’sempre pronto a dare il cambio al primo cenno di stanchezza.

Sulla sommità della chiesa vi erano due leoni del XIV secolo. Dopo il recente terremoto, per motivi di sicurezza, le fiere di pietra sono state spostate in attesa di restauro e momentaneamente si trovano delle copie realizzate da scalpellini locali.

L’interno si presenta con una pianta a croce e altari barocchi di gran pregio ricoperti con lamine in oro e colonne tortili.
 Quello maggiore, a tre nicchie, contiene le statue lignee dei santi Pietro e Paolo e un Gesù del Sacro Cuore.
In alto troneggia un busto del Padre Eterno e la colomba dello Spirito Santo.

Nella cappella di destra, si ammira un dipinto locale delle anime purganti, mentre in quella di sinistra, che conserva il pavimento in lastroni di arenaria antichissimi, c’è un quadro con la Madonna del Rosario, opera di bottega napoletana, fine XVI secolo.

È un piccolo tesoro conservato nella solitudine dei nostri monti.
Oggi ad accogliere i fedeli ci sono delle panche in legno, ma un tempo ogni famiglia aveva le proprie sedie fatte costruire per l’occasione e tutti occupavano un posto definito.

Quando i giovani convolavano a nozze, il suocero commissionava una nuova sedia, intarsiata, per la sposa, che si accomodava negli spazi della nuova famiglia.

Tradizionalmente la cappella di sinistra ospitava solo uomini mentre le donne si riversavano tutte nella navata di centro.
L'ultimo restauro che ha dotato la chiesa di un bel pavimento in cotto, ha cancellato un segno che ha terrorizzato generazioni di bimbi: la botola coperta da una enorme pietra quadrata.
C’era il carnaio dove prima della legge napoleonica, venivano calati i morti con le funi.

In questo luogo sacro si conserva il pregiato calice in argento dorato realizzato dall’orafo Bartolomeo di Sor Paolo di Teramo nel 1426, molto simile a un altro presente nel famoso British Museum di Londra.
I sei smalti sul piede e sul nodo raffigurano il Cristo tra i santi.
Davanti allo spiazzo della chiesa si ergeva l’olmo secolare, alto trenta metri, piantato nel seicento e divenuto famoso in tutt’Italia, per essere il terzo più grande della penisola.

Per abbracciarlo erano necessarie le braccia di undici uomini.
L’olmo è stato il simbolo della comunità.

Quando in paese si costruì una strada e arrivò l’energia elettrica, l’albero per il taglio delle radici e per le scariche elettriche dei fulmini attirati dalla vicina centralina, perì, lasciando il paese sgomento.

L’ultima borgata, il Colle, è in alto.
Nelle sue vicinanze ci sono le sorgenti migliori della Laga: l’acqua “d’ lu pirdir e d’ li finticell “ oltre a quella “d’ la lagnett” che probabilmente verrà imbottigliata (per caratteristiche organolettiche, è tra le prime cinque acque in Italia).

Non lontano c’è la “cunicell d’ lu coll”, il tabernacolo sormontato da uno splendido viso di angelo alato in pietra e una croce in ferro battuto.
All’interno è conservato un crocifisso ligneo egregiamente restaurato da pochi mesi.




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martedì 7 maggio 2013

A Cesacastina "lu Jase Criste de lu colle"

Il restauro dell’antico crocifisso sul tratturo di Campotosto, nella cona votiva che proteggeva i transumanti nel loro cammino.

Non so se vi siete mai soffermati, camminando in montagna, davanti alle piccole cappelle, deliziose icone del buon viaggio, per una preghiera o, semplicemente,
per osservare e penetrare un pizzico dell’immensa devozione che anima gli abitanti
delle “terre alte”.

È quanto di più poetico possa esistere.

La tradizione popolare ricorda che l’immagine santa serviva a proteggere i viandanti dalle forze del male che vagavano senza posa.


Sulla conservazione di tutte queste impronte mistiche non gravano solo le avversità meteorologiche ma, soprattutto, incuria e vandalismo.

C’è ovunque un patrimonio di religiosità popolare impossibile da catalogare con un numero incalcolabile di edicole, nicchie e crocicchi.
David Maria Turoldo, frate dei Servi di Maria, scomparso nel ’92, descriveva così questa devozione di strada: "Povere immagini opere di anonimi artisti che per me sono amabili al pari di Giotto e Cimabue …".

A Cesacastina, nel cuore dei monti della Laga, c’è una di queste creazioni di arte e fede.
Una cona votiva dedicata al transumante che oggi richiama per lo più memorie infantili o statuine di presepe, ma che un tempo significava essere uomini percossi dalle lame acuminate del sole, tormentati dalle piogge.
I pastori attingevano forza fisica dalla devozione cristiana.

Proprio la scorsa estate, in ricordo di questi antichi carovanieri dell’angoscia è terminato il restauro del crocefisso de “lu Jase Criste de lu colle” tornato bello come non mai nel piccolo tabernacolo posto a fianco di un tratturo che arriva a Campotosto, attraverso il Colle di Mezzo.

Era, questo, il percorso delle greggi che, per recarsi ai pascoli romani, invadevano le strade come un fiume di lana, coprendo ogni spazio con i loro velli, tra i cani bianchi abbaianti e polvere sollevata, a sfumare il paesaggio come in un sogno.

La cona votiva di Cesacastina fu realizzata dall’agiata famiglia Baldassarre che commissionò il crocefisso a un falegname locale, Alfonso Vetuschi, alla fine del 1850, ricavandolo da pezzi diversi di legno assemblati tra loro in modo un po’ artigianale.

Lo stesso artista realizzò le due porte della chiesa seicentesca dei Santi Pietro e Paolo a forma di croce con il suo inconfondibile campanile a vela e a tre campane.



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sabato 30 marzo 2013

La storia passa attraverso i rami!

Dal 2008 c’è una nuova legge a tutela dei boschi e dei loro silenti abitanti.
Chi fosse sorpreso a danneggiare i monumenti verdi incorrerà in un reato e l’articolo 635 del Codice di Procedura Penale prevede una reclusione fino a un anno e multe pecuniarie per rifondere il danno.

Speriamo che questa legge sia presto applicata!
 Una speciale classifica elenca i “fuoriclasse” della natura e i loro numeri da giganti.
L’Italia vanta circa 22 mila alberi di pregio di cui 2000 sono considerati di “notevole interesse”, circa 200 di eccezionale valore storico e molti altri di eccellenza per longevità biologica e struttura gigantesca.

Molti ignorano l’esistenza di un progetto di studio che l’Ente Parco Gran Sasso-Monti della Laga ha sviluppato in collaborazione con l’università della Tuscia di Viterbo, volto all’identificazione e la mappatura di “boschi vetusti” nell’area protetta.

Da questi studi si è arrivati all’identificazione di tre piccoli lembi pregiati:
le faggete di Fonte Novello di tredici ettari e dell’Aschiero di tre, ambedue nel territorio del comune di Pietracamela, riserva dei Due Corni e il Frassineto di Valle Vaccaro, nel comune di Crognaleto, monti della Laga.

Sono boschi minuscoli, certo non paragonabili a foreste come la Martese del Ceppo di Rocca Santa Maria o di San Gerbone, al confine con le Marche di Acquasanta Terme, ma in questi luoghi verdi c’è l’assenza per lunghi periodi, di disturbo antropico, cioè interventi da parte dell’uomo.

In particolare, il bosco di Valle Vaccaro a pochi chilometri dal ridente paesino di Cesacastina, rappresenta una rarità per tipologia forestale, di cui esistono pochi esempi in Italia.
Il suo habitat è ricco di necro massa, tronchi di alberi morti che possono regalare un’infinità di informazioni ad ambientalisti e botanici.
È risaputo che una delle peculiarità del nostro Parco è la presenza, nel territorio protetto, di alcuni numi tutelari, alberi da record sia per grandezza che per l’età.

In località Morrice, tra il Ceppo e Valle Castellana e a Mattere esistono, ad esempio, alberi secolari di otto metri di circonferenza di tronco e venti metri di altezza, veri giganti della natura, castagni tra i più maestosi d’Italia come il famoso “piantone di Nardò”.

Sono autentici monumenti nati da semi del 600, forse ‘500, magari mentre, in altre parti del mondo, Colombo scopriva l’ America.
I giganti arborei pagano dazio al tempo e agli agenti atmosferici tra folgorazioni di fulmini, piogge acide, vento, neve e attacchi virulenti di funghi e insetti divoratori del legno.

Purtroppo, nonostante il continuo controllo da parte delle Guardie Forestali, spesso si registrano danni perpetrati anche dall’uomo.

Il vandalismo e la stupidità umana non hanno confini per cui può accadere quello che non ti aspetti.

Anni fa, un gruppo di bulli, appiccarono il fuoco assassino, a un castagno centenario, lasciandolo giacente con la cima su di un fianco, le tristi radici in aria e alcuni dei grandi rami spezzati per sempre.

Sarebbe un sogno se la foresta potesse animarsi come accade nella saga del Signore degli Anelli, inghiottendo gli idioti che fanno queste cose oscene.

In questi boschi c’è un’irripetibile combinazione di aria, terra, luce e umanità che neanche i vandali possono distruggere: è l’opera di Dio.

A Piano Vomano di Crognaleto, lungo la Strada Maestra del Parco, un eccellente eco museo aiuta a conoscere i giganti delle foreste.
Le foto presenti nella sala attrezzata, documentano rami vecchi centinaia o migliaia di anni, baluardi di una storia da non dimenticare.

 Sarà possibile, con una semplice visita, scoprire luoghi bellissimi e semi sconosciuti come Fonte Bettina di Fano Adriano, Pietralunga di Castelli, Colle della Pietra, Pianello e Tignoso nel territorio di Crognaleto.

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lunedì 11 marzo 2013

Sui sentieri del silenzio.

Intorno a Crognaleto, con la sua frazione principale, Nerito, insiste una miriade di minuscoli paesi, anche se i boschi stanno mangiando i rustici abbandonati e i sentieri antichi, inghiottendo parte dei segni della vita degli uomini.

Fra questi borghi c’è Frattoli a 1115 metri sul livello del mare, che conserva, oggi, più di una chiesa antica con stupendi altari lignei e con mura, dove sono ancora visibili delle belle iscrizioni del 1400, 1500, impresse anche su stipiti e portali.

Trovo stupenda San Giovanni Battista in stile gotico con il suo inaspettato portico seicentesco delle “logge”.

Il paese dipendeva da Amatrice, poi nel XVII secolo, entrò a far parte del Ducato di Atri della potente famiglia degli Acquaviva che, da queste parti trascorrevano giorni di vacanza.

Il borgo, dal quale si gode il panorama forse più bello del comprensorio, è stato a lungo un centro artigianale conosciuto nell’intaglio del legno e nella lavorazione della pietra.

Fu proprio a Frattoli che abili artigiani realizzarono la splendida statua della Madonna delle Grazie, venerata nel santuario francescano di Teramo, dove approdò alla fine di un grande pellegrinaggio attraverso Piano Roseto, Macchia Vomano e giù verso Montorio.

La Vergine, vestita di drappi pregiati come si conviene ad una regina, pare che, in groppa ad un mulo, se la vide brutta alle porte del capoluogo.

La bestia affaticata, inciampò e rotolò pesantemente sul greto del fiume Tordino, proprio sotto la strada.
Urla disperate dei fedeli che credevano di trovare la statua in mille pezzi.

Ma la Madonna delle Grazie rimase illesa e si gridò al miracolo.

L’opera, che di certo conoscete bene, è fantastica!
La bellezza del volto espressivo, il capo reclinato verso il Bambino, le mani affusolate, danno l’idea della bravura degli artigiani montanari.

Ancora oggi Serafino Zilli, l’ultimo di una famiglia di scalpellini d’epoca, fa risuonare le vecchie contrade del battito del suo martello.

Gran parte delle chiese nella Laga teramana e molte antiche abitazioni sono state abbellite dall’estro e dall’arte di questi uomini dediti all’arenaria, azzurra all’origine, beige corrosa dalle intemperie e dal trascorrere del tempo.

Inventarsi la vita in queste valli profonde non è stata cosa facile sia per l’asprezza dei luoghi, che per gli inverni lunghi.

La storia da queste parti non è altro che il racconto a volte difficile da credersi, dei sacrifici e della tenacia con cui la gente ha vinto le difficoltà di un mondo avaro di risorse.

Il lavoro artigianale dei tanti uomini come gli Zilli, si confonde ad ogni passo con la storia umana e civile dei primi insediamenti, dello sfruttamento dei boschi e dell’arte di lavorare pietra e legno servendosi dell’ingegno dei valligiani.

I fratelli, giunti fin qui da Campotosto, diedero i natali anche a Amedeo che, padre di dodici figli quasi tutti maschi, ripopolò Frattoli di muratori e scalpellini.

Alto e grande di aspetto, sorta di armadio umano, incuteva timore a prima vista, ma era di una bontà infinita.

Ha lasciato varie testimonianze della sua abilità artistica, dalla torretta della chiesa di Padula, ai finestroni di Cesacastina o gli altari a Frattoli.

La pietra, vera regina di questi luoghi si riconosce ancora oggi tra gli scempi delle costruzioni moderne.

Si capisce la squadratura dei blocchi fatta a mano per stipiti di porte e finestre, s’intuisce facilmente che queste mura non temono nessun terremoto.

In molti paesi, riattati i rustici e le antiche case, le vecchie comunità si ritrovano nelle brevi stagioni estive.
Cresciuto il benessere economico, è nato un nuovo atteggiamento nei confronti dell’ambiente.
I secolari sentieri tra boschi e costoni impervi, i valichi un tempo importanti vie di comunicazione, sono tornati ad animarsi non più percorsi da boscaioli e pastori, ma da camminatori che vogliono riscoprire la cultura montana.

Sono molti i paesi che meritano attenzione: Cervaro con la bella chiesa di S.Andrea, Altovia e Aiello, con il tempio cinquecentesco dei santi Silvestro e Rocco e Tottea, villaggio costruito su di un enorme masso di arenaria dove si trova un Ecomuseo e un Centro di documentazione del Parco.

A proposito del borgo di Tottea, chi ha voglia di arrivarci non perda la chiesa di San Michele Arcangelo con il suo tetto a capanna e il piccolo campanile a velo.
La storia del tempio sacro si colorò nel 1921, delle tinte fosche tipiche degli eventi più drammatici.

A causa di alcune candele votive accese per devozione alla Vergine Maria, si sviluppò un incendio immane.
Nel rogo andarono distrutte delle statue settecentesche, arredi sacri, il prezioso soffitto ligneo dipinto e il più grande organo a canne della Diocesi, vero orgoglio del paese.

Oggi, Tottea mostra vecchie case in pietra arenaria, portali, soglie che hanno resistito nei secoli e che testimoniano il valore della pietra per la gente di montagna.

Ogni volta mi ci reco, ho l’impressione di essere in un luogo autentico, genuino.
È come vivere in una grande famiglia e riunirsi tutti nella piccola piazza come in un salotto di casa.

È l’icona di una bellezza di vita che non esiste più. Magari la gente di allora, oggi è malandata.
Un tempo si poteva morire a vent’anni ma arrivare anche a cento per via di una naturale selezione genetica.

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Articolo di Sergio Scacchia pubblicato sul blog Paesaggio Teramano collegato alla rivista omonima.
Sul blog "Paesaggio Teramano" possibilità di visionare o fare il download dei numeri della rivista già pubblicati.
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domenica 18 settembre 2011

“Lu Jase Criste de lu colle” di Cesacastina

Oggi la figura del transumante richiama per lo più memorie infantili o statuine di presepe, eppure sono i pastori , uomini percossi dalle lame acuminate del sole, tormentati dalle piogge, che attingono forza fisica dalla devozione cristiana, i veri protagonisti della storia delle nostre montagne.

È certamente dedicato a questi antichi carovanieri dell’angoscia il bellissimo restauro dell’antico crocifisso de“ lu Jase Criste de lu colle” che in questa’estate del 2011, è tornato bello come non mai nel piccolo tabernacolo posto sulla strada un tempo percorsa dalle greggi.

Concetta Zilli, assicuratrice in Teramo, nativa di questi stupendi luoghi e profonda conoscitrice delle tradizioni e del patrimonio artistico locale, non sta nella pelle per la gioia:

“Abbiamo voluto con la Pro Loco, il comune di Crognaleto e grazie all’aiuto di Lidio Baldassarre, suggellare questo momento, con una grande festa per testimoniare la volontà del nostro paese di non dimenticare mai il passato.


Il tabernacolo in pietra che qui chiamiamo “La cunicella d’lu coll”, dove è stato nuovamente riposto il crocifisso, è a fianco di un tratturo che arriva a Campotosto, attraverso il Colle di Mezzo.

Era il percorso che i pastori attraversavano con le loro greggi per recarsi ai pascoli romani.
Ma era anche l’ultima costruzione del paese alla partenza e la prima che s’incontrava al ritorno, dove tutti i passanti si fermavano a recitare una preghiera”.

Attraverso le parole di Concetta pare di poter vedere questi uomini e i loro armenti, invadere le strade come un fiume di lana, le greggi coprire ogni spazio con i loro velli, i cani bianchi abbaiare e la polvere sollevata, a sfumare il paesaggio come in un sogno.

Nella mente si materializzano contadini, boscaioli, massaie che di buon’ ora prima di recarsi nei campi, nei boschi, al fiume per lavar panni, recitavano l'angelus, segnandosi con la croce per avere protezione durante la giornata.
Ancora oggi a Cesacastina, i vecchi raccontano di tanti rosari recitati davanti a quest'immagine soprattutto durante le due guerre mondiali, per chiedere la grazia del ritorno dei figli soldati.

Qualcuno più suggestionabile ha sognato proprio questo crocifisso e Gesù' che gli parlava in dialetto montanaro..
“La fede - continua la Zilli - è un dono assolutamente importante per gli uomini di montagna”.

È proprio vero!
Nel giro di poche manciate di chilometri tra il Gran Sasso, la Majella e il Velino Sirente, esistono santuari, edicole votive, eremi costruiti sopra antri, grotte, rocce o picchi là dove gli uomini sentono più forte la vicinanza di Dio.

La cona votiva di Cesacastina, fu realizzata dall’agiata famiglia Baldassarre che probabilmente commissionò il crocifisso a un falegname locale, Alfonso Vetuschi, che lo realizzò alla fine del 1850, ricavandolo da pezzi diversi di legno assemblati tra loro in modo un po' artigianale.

Lo stesso artista ha realizzato le due porte della chiesa principale seicentesca dei Santi Pietro e Paolo a forma di croce con il suo inconfondibile campanile a vela e a tre campane.