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domenica 27 luglio 2014

La capitale della “Lega Italica" contro Roma e la sua basilica!

I paesi della piana di Sulmona hanno tutti una caratteristica: odorano buono di antico.
Mi riferisco a Pacentro, Introdacqua, Pettorano sul Gizio, Corfinio e non solo.

Sono borghi dove il tempo è stato rispettato e i ritmi contadini ancora scandiscono l’alternarsi delle stagioni.


La loro storia secolare trasuda dalle pietre delle chiese e dei palazzi.

Questi abitati vetusti si estendono in mezzo ad ampi e suggestivi scenari montani che fanno da preziosa cornice all’indubbia ricchezza monumentale.

Per secoli questi luoghi hanno vissuto riccamente, grazie ai fiorenti commerci e alle produzioni artigiane di prestigio.

È stata, probabilmente, determinante la posizione geografica all’incrocio fra la via Claudia Valeria e il tratturo Celano- Foggia dei transumanti diretti al Tavoliere delle Puglie.

Qui si sviluppava la felice confluenza di sbocchi importanti fra la costa Adriatica da una parte e la Marsica con il napoletano dall’altra.

Era proprio lungo la piana sulmonese, che passava la nota “Grande Via degli Abruzzi”, arteria di collegamento commerciale tra le importanti città di Firenze e Napoli.

Corfinio è uno degli esempi più fulgidi di tanta importanza.

È un paese appartenuto agli antichi Peligni, compaesani del grande Ovidio che, nato nella vicina Sulmona, assurse agli onori più alti della poesia del suo tempo.

Questo è un paese di pecore, zafferano, vino e forse qualcuno oggi fatica a pensare alla grande importanza che rivestiva al tempo dei Romani.

Eppure parliamo della mitica capitale della “Lega Italica”, nella guerra contro la tirannia di Roma, la “caput mundi”, l’unione dei paesi ribelli che contrastavano l’egemonia crudele del popolo capitolino.
Nel “club degli eversivi” c’erano paesi importanti come Popoli, Tocco da Casauria, e gli altri villaggi sulmontini stesi nella piana custodita dai rilievi del monte Morrone.

Può aiutare il visitatore attento a capire tale importanza, la possente architettura della basilica valvense dedicata a S. Pelino con l’oratorio di S. Alessandro.

La cattedrale è composta dall’unione di questi due corpi distinti: l’oratorio rettangolare allungato con abside al centro, che corrisponde al capo croce di una chiesa incompleta, consacrata nel 1092 e la basilica dedicata a San Pelino e terminata nel terzo decennio del secolo successivo, restaurata nel 1235.

La chiesa maggiore appare imponente con tre navate e alti pilastri quadrangolari. C’è un arco a tutto sesto che immette nel transetto sopraelevato, coperto con volte a botte e a crociera.

Lo spazio interno è dal seicento in stile barocco. All’interno si ammirano begli arredi liturgici e uno splendido ambone del XII secolo.

Informazioni: 

Corfinio è un comune montano in provincia dell'Aquila, all'interno della conca Peligna, con poco meno di millecento abitanti. 
Fa parte del Parco della Majella.

Distanza da Roma circa 100 chilometri, da Pescara, circa 65, dall'Aquila, 55 e da Sulmona 10 chilometri.

Per arrivare:
In auto: Autostrada A25 Roma Pescara, uscita casello Pratola Peligna, girare a destra e tre chilometri dal casello
Strada statale 17 da Aquila o da Napoli.

In treno:  Linea L'Aquila Sulmona, stazione Raiano a tre chilometri da Corfinio.


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Articolo di Sergio Scacchia pubblicato sul blog Paesaggio Teramano collegato alla rivista omonima.
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sabato 26 luglio 2014

La valle delle mille sorprese!

Uno dei più importanti crocevia di scambi e comunicazioni in Abruzzo, nell’antichità, era la famosa direttrice tratturale del Celano- Foggia.

I tratturi erano autentiche autostrade d’erba che venivano calpestate da migliaia di animali e centinaia di uomini transumanti.

Si snodavano nelle aree interne determinando vere e proprie arterie irrinunciabili per i commerci e le economie locali.

Il Celano- Foggia costeggia il versante settentrionale del bacino denominato del Fucino, una lunga piana che taglia in due l’Abruzzo interno, costeggiando per lunghi tratti la famosa Tiburtina Valeria, toccando luoghi poco conosciuti agli stessi abruzzesi, luoghi di fascino e di bellezza, ricchi di storia e tradizioni farcite anche da leggende tramandate oralmente.

Come definire, per esempio, l’imponente torre trecentesca di Aielli se non un capolavoro di manufatto antico?

E che dire del fascino che emana dalle rovine del castello di Ortona de Marsi o dalle pietre della cittadella fortificata di Pettorano sul Gizio, pochi chilometri da Sulmona, patria del poeta romano Ovidio?

O ancora il Castello di Beffi?



Nel meridione della conca peligna lungo il suggestivo altopiano insistono paesini secolari come Goriano Sicoli, Raiano e gli antichi fortilizi di Castevecchio Subequo e Castel di Ieri.
Quest’ultimo borgo, scenografico con il suo castello a dominare l’abitato, annovera a pochi
chilometri un interessante santuario precristiano.

Numerosi scavi hanno fatto riemergere resti di un tempio dedicato a una divinità minore della fertilità, ma, giova dire, che sono ancora molte le zone circostanti che potrebbero essere oggetto di riesumazioni capaci di regalare oltre a reperti, anche squarci di luce sulle storie dei popoli italici che sono transitati attraverso le valli abruzzesi.

La vallata subequana nasconde altre importanti emergenze storiche e ambientali.
C’è da visitare il piccolo santuario della Madonna di Pietrabona e c’è da scoprire antichi e minuscoli abitati pastorali, oggi in gran parte intatti com’erano ai tempi d’oro della transumanza quando all’epoca della dominazione aragonese, il passaggio nei tratturi era disciplinato da leggi con pagamenti di dazi e possibilità di ricovero per pastori e bestie nelle famose chiese campestri disseminate lungi i percorsi.

Non lontano dalle gole di San Venanzio, l’abitato di Goriano era il punto di sosta per tutti i viaggiatori nell’antico insediamento di “Statulae”.
Questo è il paese della grande tradizione dei riti dedicati a Santa Gemma, patrona del paese e sfortunata ragazza che, non avendo ceduto alle proposte oscene del signorotto di turno per salvaguardare la verginità, perse la sua giovane vita.

Da non perdere anche la visita all’antica città romana di “Sueraequum”, oggi Castelvecchio Subequo, terzo municipio romano dei Peligni, dopo Sulmona e Corfinio.
Qui l’incastellamento è molto evidente con edifici d’interesse architettonico
arricchiti da eleganti bifore e portali classici.

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Come raggiungere i paesi della valle Subequana, Castel di Ieri e Castelvecchio: 

Da Roma est prendere la A24 Roma-L’Aquila; allo svincolo direzionale di Torano, dopo l’uscita di Tagliacozzo, imboccare la A25 per Pescara e uscire ad Aielli - Celano (101 Km dal raccordo anulare). 
Prendere la statale a sin. in direzione di Collarmele e seguirla sempre fino a Castel di Ieri, superando Collarmele e il solitario, affascinante valico di Forca Caruso (1100 m) (circa 30 Km dall’uscita di Aielli - Celano).

Da nord e dalla fascia adriatica: raggiungere Pescara con la A14 e prendere la A25 in direzione Roma; uscire a Pratola Peligna - Sulmona (circa 50 Km. da Pescara). 
Seguire i cartelli in direzione di Raiano (prima a ds., subito dopo a sin. e poi ancora a ds.); attraversare l’abitato di Raiano in direzione di Castelvecchio Subequo, superando la selvaggia e bellissima Gola di San Venanzio; dopo Castelvecchio la statale raggiunge in breve Castel di Ieri (circa 20 Km dall’uscita di Pratola).



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domenica 20 luglio 2014

Agriturismo "Il Contadino" a Mutignano di Pineto

Premetto subito che l'Agriturismo "il Contadino" è tra i miei preferiti per l'ottimo rapporto "qualità prezzo" e l'ho specificato in una recensione su Tripadvisor

Dalla Nazionale Adriatica nei pressi di Pineto si imbocca la strada per Mutignano e si sale su per la collina.
Il ristorante si trova in contrada Fonte Antica, in una zona non facilmente rintracciabile a causa della scarsità dei segnali stradali e indicazioni pubblicitarie.

Come spesso accade in certi locali ci si arriva grazie al passaparola, alla comunicazione entusiasta di chi già c'è stato piuttosto che invogliato dalla pubblicità tradizionale.

Personalmente l'ho scoperto l'anno scorso ed è ormai diventato un appuntamento importante delle vacanze agostane ... una meta a cui è impossibile rinunciare.

Il menù inizia con diversi antipasti.

Insaccati vari


Formaggio Pecorino


Sottaceti


Piatto tipico teramano :
Li fuje strascinite (Verze) con fagioli


Bruschette con pomodorini freschi


Agnello cacio e ovo, tipica pietanza della cucina teramana e abruzzese


Il tutto accompagnato da alcune deliziose e fragranti frittelline


I primi piatti che abbiamo degustato sono stati due.

Ravioli ripieni di spinaci e ricotta conditi con funghi, piselli e carne macinata


Spaghetti alla chitarra conditi con sugo di pallottine di carne.
E' certamente il piatto tipico più importante della cucina teramana.
In questo caso è consigliabile dotarsi di una frittellina perchè la scarpetta finale al piatto è un rito irrinunciabile per noi buongustai "magnoni".
La pulizia del piatto intinto con un sugo così buono ripulito con la frittellina è il degno assolo finale della chitarrina.


Come per i primi anche i secondi piatti arrivano in "coppia" ... nel senso che ne sono due.

Pollo arrosto accompagnato da patate al forno



Arista di vitello con una fresca e fragrante insalata come contorno



Per chiudere il pranzo ecco servita la "pizzadogge" ... la pizzadolce, tipico dolce della cucina teramana, realizzata con pan di spagna farcito con crema al limone e crema al cioccolato a strati.


Il pranzo "ottimo e abbondante" si chiude con caffè e liquore a scelta tra un limoncello e un amaro ... la mia preferenza è andata all'amaro (un Ramazzotti in mancanza dell'Averna)



I titolari dell'agriturismo Il Contadino permettono l'ingresso dei nostri amici a quattro zampe.

Importante che se ne stiano buoni buoni insieme ai loro padroni e non vanno in giro per la sala.

Anche per loro "è festa" grazie all'abbondanza del cibo servito e Tequila, oltre a pollo e arista di vitello ha molto gradito anche la frittellina

E dopo il pranzo possono scorazzare liberi fuori dal ristorante nell'attiguo giardino e tra le piante di noci e di fichi

L’eremo del santo martire e la pietra miracolosa

Le alte sponde rocciose dell’Aterno, alle falde del monte Mentino, sorreggono nel punto più selvaggio il complesso cenobitico in cui visse il santo martire Venanzio.
Siamo ai margini della Riserva Regionale del Velino Sirente.

È l’oasi naturale delle gole che prendono proprio il nome dell’asceta che visse non lontano da Raiano, borgo famoso per la sua nota sagra delle ciliegie.

La produzione di questo frutto qui è di alta qualità ma l’evento è ricco soprattutto di tradizioni, folclore e spettacolo con la sfilata di carri allegorici.


Il santo, originario di Camerino, nelle Marche, giunto fin qui, nel profondo delle gole trovò rifugio e contemplazione.

Tornato al suo paese per quietare i tumulti dei cristiani perseguitati dal prefetto Antioco sotto Decio Traiano, fu condannato a morte.
Precipitato da una rupe rimase illeso per miracolo, genuflesso in preghiera.

Gli sgherri agli ordini del prefetto presero allora a colpirgli la testa con un grosso masso che al contatto del santo si sciolse come cera lasciando l’impronta del viso.

Pare che dopo diversi tentativi Venanzio fu martirizzato con il taglio della testa.

Siamo a circa quindici chilometri da Sulmona e a soli tre chilometri dall'antica Corfinium, nell'estrema parte occidentale della Valle Peligna.

L’edificio si erge sopra le fredde e spumeggianti acque del fiume in una magnifica posizione nel cuore di un’oasi verde incastonata tra brulle pareti.

Il terremoto disastroso del 2009, ha fatto dei danni per fortuna non irreparabili e tutti attendono che questo luogo sacro sia riparato.

La parte posteriore di questo spettacolare eremo è probabilmente la più antica che risalirebbe al XV secolo.



Notizie di San Venanzio in Raiano le troviamo comunque già nel XII secolo grazie ad alcune Bolle papali ma, da alcuni elementi architettonici e per gli affreschi di sacrestia si può affermare con relativa certezza che il primo impianto è del quattrocento.

La chiesa fu poi ampliata alla fine del XVII secolo.

L’interno è a pianta rettangolare ed è coperto con volte a botte, affrescate dopo la seconda guerra mondiale, da due pittori, Savino Del Boccio e Antonio Vaccaio che così vollero ringraziare Dio per aver decretato la fine del cruento conflitto.

C’è un corridoio, a destra dell’ingresso centrale, fiancheggiato da piccole celle eremitiche che porta alla minuscola cappella delle Sette Marie.

L’insolita stanzina custodisce un “Compianto” cinquecentesco, che artisticamente in alcune parti ricorda la grande opera che si ammira a Bologna.

Anche questa è in terracotta policroma e il Gagliardelli la realizzò nel ‘500.

Si tratta di una scultura costituita da più statue e un coro di cinque angeli pendenti.

Oltre alla bellezza del luogo dove giace l’antico romitorio, il fascino è notevole anche per gli ambienti interni che sono deliziosi.
C’è, ad esempio, il “Sancta Sanctorum”, in prossimità della Scala Santa che veniva utilizzata dall’anacoreta Venanzio per salire nella sua celletta che conserva nella pietra l’impronta del suo corpo.

La leggenda dice che al passaggio del santo, la corrente del fiume si arrestava ed egli non si bagnava i piedi
Nel muro opposto si può scorgere ciò che resta di un affresco antichissimo raffigurante la testa di Santa Caterina.

I fedeli, ancora oggi, si coricano sula roccia dove ci sarebbe l’orma del corpo disteso di Venanzio nell’eterna convinzione di potersi curare i dolori reumatici e addominali, le cefalee e il mal di reni.

Dopo essersi strofinati, devono anche risalire in ginocchio i gradini della Scala Santa, scavata nella nuda roccia con un cunicolo stretto e recitare ogni gradino un Ave Maria.

È noto che la credenza popolare nelle virtù risanatrici delle pietre è generale quasi dappertutto in Abruzzo.

Sono usanze che ricordano quelle di alcuni paesi musulmani del Cairo dove i devoti si stropicciano ancora contro le colonne della moschea.

È come un piccolo oceano di sensazioni quello che attraversa la mente del visitatore tra leggende, spiritualità e tradizioni.
Si ha la sensazione di navigare nelle acque impetuose del fiume come pellegrini stupiti in un mondo fiabesco di storie.

Come arrivare: 
 A24/A25 RM-PE uscita Pratola Peligna-Sulmona.
Proseguire in direzione Raiano da Napoli: A1 NA-RM uscita Caianello/ seguire indicazioni per Castel di Sangro/ Roccaraso/ Sulmona/ direzione A25/ Raiano


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sabato 19 luglio 2014

La torre di Montegualtieri

Insieme all'antica torre di Sutrium, presso Bussi, la torre di Montegualtieri di Cermignano, in provincia di Teramo rappresenta un raro esemplare di torre a pianta triangolare in Abruzzo.
Dalle foto gentilmente concesse dagli amici di AEROMAPPE si apprezza la singolare forma, poco diffusa.

Percorrendo in discesa la Via del Torrione del ridente paesino di Montegualtieri, si può scorgere questo manufatto a forma di triangolo che si protende verso l’alto e che raggiunge un’altezza di circa 18 metri, fondendosi perfettamente con l’ambiente che la circonda.

La torre si erge in 18 metri di altezza da un robusto basamento a scarpa costruito di roccia sedimentaria di detriti sabbiosi, cementati tra loro dall’argilla, ed è rafforzato da rinforzi in mattoni; la cima è conclusa dal tipico impianto a sporgere su mensole a forma di becchi coronato da una serie di merli posti a intervalli regolari con grande cura per quanto riguarda il profilo costruttivo.

La torre fu sicuramente eretta come struttura di avvistamento e controllo sulla Valle del Vomano in epoca medioevale (fine XIII, inizi XIV sec.) e prende il nome, come il borgo intorno, da un duca Gualtieri che ne fu il possessore.


Posta su un costone roccioso, potenziata da contrafforti in mattoni, a dominio di un vasto territorio, costituiva un punto di riferimento valido nel sistema di avvistamento dell'intera vallata.

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(Suggestive foto con riprese aeree droni di AEROMAPPE telefono 3463217492.
Con droni radiocomandati è possibile effettuare scene mozzafiato come un film
e ogni tipo di riprese dall'alto per turismo, pubblicità, cultura ecc.ecc.
Un servizio ideale per spot pubblicitari, presentazioni aziendali, video matrimonio, rilievi)

Informazioni: 
 Municipio tel. 0861-66494
Come arrivare:
 A14 uscita Roseto; SS. 150 direzione Villa Vomano da Napoli: A1, uscita Caianello; seguire le indicazioni per Roccaraso/Sulmona, A25, A14


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martedì 8 luglio 2014

Santa Maria di Propezzano

Gli orizzonti sono dolcemente mossi come lenzuola gonfiate dal vento.
Morbide ondulazioni gialle di grano, orlate dal verde degli alberi si rincorrono fino a morire ai piedi delle pietre consumate dal tempo dell’austera costruzione dell’abbazia di Santa Maria di Propezzano.

Il paesaggio si dispiega dolce, con docili quinte di colore sfumato.

Ma è sufficiente buttare lo sguardo in fondo alla valle Siciliana, alla grandiosa dolomia del Gran Sasso tra foreste tumultuose e girare gli occhi a 180 gradi tuffandosi nelle acque dell’Adriatico, per rendersi conto della grandiosità d’insieme.

La strada quasi isolata che attraversa le ordinate colline di campi ubertosi ricchi di vigneti, poco distante da Notaresco, in territorio di Morrodoro, porta all’ austera costruzione, oggi restaurata, della chiesa di Santa Maria di Propezzano dominata da una quadrata, e tozza torre campanaria.
Giuseppe Ceci, in un vecchio libercolo degli anni ’60 ipotizzava che, in un tempo lontano, questa fosse un torrione merlato a guisa di castello.

A fianco c’è il bellissimo convento benedettino, dalla mole così imponente da far ipotizzare una importanza abnorme nel periodo medioevale sia a livello religioso che civile.
Il mare è ad una manciata di chilometri. Non più di una ventina di tornanti.

In mezzo alle colline, quando il vento soffia, assapori il profumo aspro del verde.

Un luogo di stupore, che parla dell’invisibile con i segni dell’arte e del tempo.

Chissà se i pellegrini che si trovavano nel luogo dove oggi si erge la secolare abbazia di Santa Maria di Propezzano, usavano la zucca come borraccia o se, alla pari di quelli di Santiago de Compostela avevano con loro anche le conchiglie.
O se usassero la palma come quelli di Gerusalemme.
Di certo quei pellegrini oggi indosserebbero vestiti colorati, scarpe comode e di marca, k-way ipertecnologici, zaino e berretto e teli antipioggia.
Al posto del bastone avrebbero la racchetta da trekking, leggera e telescopica.

I pellegrini alemanni, secondo la leggenda, per alcuni tornavano da una visita alla tomba di San Pietro, per altri da un estenuante viaggio in Terra Santa.
Affaticati, vollero fermarsi per il giusto riposo.
Appesero le povere bisacce, contenenti sante reliquie, su di un corniolo e si addormentarono.
Al risveglio, con sommo stupore, i pellegrini si accorsero che l’albero era cresciuto a dismisura e che risultava impossibile prendere le borse.
Ecco che mentre, attoniti, guardavano l’albero ingigantito, una visione celeste ordinò loro di edificare una chiesa.
Era la Vergine Maria.

In verità la Madonna doveva amare fortemente la nostra terra se è vero che un'altra apparizione avvenne molti anni dopo nel contado del Perdono a Canzano e sulla collina prospiciente Giulianova Lido dove poi sorse l’attuale monastero dello Splendore.

L’antico insediamento di alto pregio artistico di questa abbazia romanica, secondo una antica scritta in carattere gotico ormai quasi scomparsa sotto il portico, risalirebbe al 715 d.C.

Esisterebbe anche una pergamena, oggi non più leggibile, logorata dal tempo, che lo storico Nicola Palma dovette copiare e decifrare quando era ancora comprensibile.
Questa specie di bolla che molti attribuiscono a Bonifacio IX, comunque scritta in latino, determinò la datazione della edificazione dell’abbazia proprio in quell’anno.

Il 10 maggio, data in cui tuttora qui si festeggia la Madonna, il Papa Gregorio II consacrò in modo solenne questo tempio a Santa Maria propizia pauperis con l’annesso monastero, che divenne subito punto di riferimento lungo il percorso adriatico verso la Terra Santa.

Questo sarebbe ciò che dice la pergamena e a nulla vale ricordare che Gregorio divenne papa dopo la data della consacrazione della chiesa e non prima.
Il corpo centrale del complesso ha un portico a tre archi sotto il quale si trova il portale e resti di affreschi del ‘400, sopra il portico una grossa finestra tonda e più in alto un sobrio rosone; la parte di destra presenta un portale detto Porta Santa che viene aperto solo il 10 maggio e il giorno dell’Ascensione.
Appena dietro troviamo la torre campanaria quadrangolare.

A proposito della grandiosa Porta Santa, l’opera proviene dalla scuola atriana del 1300.
Gli esperti la attribuiscono a Raimondo Del Poggio, superbo autore del meraviglioso portale del Duomo di Atri, vissuto alla corte degli Acquaviva, signori della città ducale.

Ne parla diffusamente il Palma nel suo libro: “Storie delle terre più a nord del Regno di Napoli”.
Il portale viene aperto durante la festa che ricorda l’apparizione della Madonna e durante l’Ascensione, per tener fede alla Bolla Indulgentiarum papale emessa dal Papa Martino V, il quale concesse indulgenze in queste due solennità per far sì che la chiesa fosse massimamente visitata in quei periodi.
L’abbazia fu completata nel 1285.
E’ una specie di enigma anche la costruzione della chiesa che, contrariamente alla successione degli stili, inspiegabilmente è stata iniziata in forme gotiche e terminata in forme romaniche.
La facciata è costituita da tre parti di diversa altezza; la parte di destra è accorpata nel convento, all’interno di questo c’è uno splendido chiostro con dipinti del seicento e al centro un pozzo artistico.
Sotto gli archetti che girano tutto intorno al chiostro si trovano delle lunette con affreschi del pittore polacco Sebastiano Majewsky sulla vita di Gesù.

Nella facciata spicca un artistico rosone formato da tetti concentrici con fregi in terracotta con sopra lo stemma dei potenti della famiglia Acquaviva.

Sotto il portico, a tre archi a sesto acuto sorretto da colonne, l’ingresso della chiesa ha una porta in legno con fregi di giglio.


Nel libro del Ceci si rimarca che le colonnine sono in stile cosmatesco, simili con le dovute differenze, a quelle dell’ insuperabile San Giovanni in Laterano a Roma.

Con la parola “cosmati”, si designano gli scultori romani artefici di una interessante fioritura artistica intorno al XIII secolo.
L’interno sobrio ed elegante della chiesa non è di quelli indimenticabili, ma le tre navate incutono rispetto e desiderio di preghiera con la poca luce, tipico delle chiese romaniche dove le finestrelle si presentano tutte minuscole.
Resterete sicuramente ammirati da una pittura raffigurante l’Annunciazione dell’Angelo alla Vergine.
A dir poco stupendo l’antico refettorio dei frati con i suoi pregevoli affreschi.
L’ultimo sguardo è per la torre campanaria che, in maniera inusuale risulta non incorporata alla facciata, ma distante circa due metri da essa.


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 (Foto con riprese aeree droni di AEROMAPPE telefono 3463217492)

(Suggestive foto con riprese aeree droni di AEROMAPPE telefono 3463217492.
Con droni radiocomandati è possibile efettuare scene mozzafiato come un film
e ogni tipo di riprese dall'alto per turismo, pubblicità, cultura ecc.ecc.
Un servizio ideale per spot pubblicitari, presentazioni aziendali, video matrimonio, rilievi)

Come arrivare:
 A24 RM-TE uscita Teramo / proseguire lungo la SP 22 direzione Morro d'Oro
da Napoli: A1 NA-RM uscita Caianello / proseguire lungo la SS 372 direzione Vairano Scalo / poi SS 85/ SS 158 direzione Colli al Volturno / seguire indicazioni per Castel di Sangro / Roccaraso/ Sulmona / A25 direzione Pescara
A14 direzione Ancona uscita Roseto degli Abruzzi / proseguire in direzione Valle Vomano / Morro d'Oro

domenica 6 luglio 2014

Il "castellano" saggio:

Ascolta il tuo cuore. Esso conosce le tue cose!

“Sai qual è la prima virtù di un pastore?
È la pazienza, quella s’impara molto presto”.

L’uomo aspira avidamente il fumo dell’improvvisata sigaretta fatta di cartina arrotolata e trancio di tabacco di infimo valore a giudicare dal cattivo odore.


Sopra le nostre teste, la gramigna vetta è chiusa in una morsa di nembi grigi.
È scesa la prima neve sui monti della Laga.
Fa freddo ma venire fin qui è valsa la pena!

“Poi - continua - s’impara a tosare, accudire le pecore gravide, a proteggere gli animali e le cose dai lupi, ad ammazzarle senza farle soffrire in caso di malattia.
Infine ci si affeziona alle bestie che riconosci una per una e ti diventano di famiglia.

Ti accorgi di quale manca, quale partorirà presto, la pigra, la più vispa, la recalcitrante furba.

Cosa credi tu uomo di città, la pastorizia è arte per pochi”.

Rocco ha quasi ottant’anni, faccia ancora avvizzita dal sole nonostante l’inverno ormai arrivato, pizzetto da satanasso e ancora va dietro a qualche pecora insieme alla fida Luna.
Tutta l’estate se ne va lungo i piedi della montagne della Laga, tra la Macera della Morte, Cima Lepri e le foreste di San Gerbone, insieme alle sue bestie.

Poi i due figli, in autunno portano le pecore in pianura e le risalgono su in aprile.

La cagna rimane con il suo amato padrone avanti negli anni.
Ha il pelo nero arcigno drizzato dalle folate di vento che ogni tanto imperversano nella zona.
Magro all’osso, l’uomo pare opporsi con fatica all’aria viaggiante.

Mi pare di essere sul set di un film d’altri tempi.

Qui la montagna è come la madre di quei pochi irriducibili che non volgiono rompere con le proprie radici.
“Ma quale madre - quasi urla il vecchio - questa è una montagna cattiva, dura e buona solo per pastori e eremiti.
E poi l'hai sentita l'ultima scossa l'altra sera? Il terremoto non ci lascerà mai”.

Nulla di più vero.
Un tempo e fin dall’antichità, sia i transumanti che gli asceti avevano l’uso comune delle grotte e dei ripari di fortuna in caso d’intemperie.

Queste due dimensioni antropologiche e sociali, così diverse e apparentemente distanti, hanno vissuto per lunghi secoli in contiguità tra loro.

Oggi che gli asceti sono scomparsi dalle forre d’Abruzzo, quasi inesistenti ormai i pastori, gli eremi, le capanne in pietra, continuano a segnare il paesaggio della Laga, tra anfratti naturali, gole, fitti boschi.

Quest’uomo d’altri tempi che fa pascolare le sue bestie pare confermare tutto ciò.

“Noi pastori siamo razza strana, amico mio! Io ancora oggi sono superstizioso.
Guarda, da anni porto in tasca queste due pietre lisce che trovai da ragazzino nel bosco sotto Lama.
Le tasto, me le rigiro nella tasca dei pantaloni e mi sento tranquillo”.
Ride un po’ sguaiato l’uomo antico mentre mostra i suoi antichi talismani improvvisati.
È una gioia ascoltarlo!
“Le pietre che ho con me da cinquant’anni, sono comunque nuove perché non c’è mai niente di nuovo sotto il sole”.

Proprio un pastore poeta mi doveva capitare!
Mi segno questa frase un tantino sibillina nel mio taccuino.

Il vecchio, dopo una suonata con la sua armonica a bocca, si allontana non prima di aver lanciato le sue ultime chicche:

“Il mondo è da vivere senza fretta e pazienza proprio come facciamo noi pochi pastori rimasti in giro.
Custodisci sempre quel poco che hai come faccio io con queste mie pecore.
Anche se hai poco, ricorda che siamo troppo piccoli per abbracciare il mondo”.

Si è alzato il vento, portando non solo gli odori della terra.

Pare trasportare anche il sudore di chi lavora senza mai fermarsi, i sogni degli uomini che credevano in una vita facile, ricca di soddisfazioni e che hanno trovato un’esistenza di stenti.

Invidio la libertà del vento!


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I monti della Laga, parte teramana si raggiungono da più parti. 
La valle del Castellano si raggiunge da Teramo per la strada provinciale 48 per il Ceppo e poi la 49, venti chilometri per Valle Castellana.
Da Ascoli Piceno sono circa venti chilometri.  

Il mio caro amico Alessandro de Ruvo, artista della foto, ambientalista del C.A.I. e cultore della montagna, mi ha concesso l'utilizzo dei suoi stupendi scatti di montagne innevate! 
Grazie Alex!

sabato 5 luglio 2014

Guardiagrele: La città di pietra!

Quando l’amico Raffaele Tini organizza una scorribanda mangereccia, vale sempre la pena seguirlo perché alla buona cucina si abbina anche una lezione di cultura.

Ecco che una bella serata ci porta a fare un po’ di chilometri alla ricerca della “città di pietra che risplendea al seren di maggio”.

È questa l’eterea e immortale definizione del bellissimo borgo di Guardiagrele, nella Majella tra il pescarese e il chietino.

Siamo in un angolo d’Abruzzo bello e discreto, ai margini di un mondo di gole e forre, valli silenti sormontate da immani pareti, guglie e creste scolpite da sole, vento e neve.
Un patrimonio di severa bellezza in ogni stagione dell’anno, che ben si integra con le più profonde tradizioni artigiane di orafi, ricamatori e fabbri.

Nel borgo vivono poco più di mille abitanti. Fuori dal paese, un paesaggio aspro, dove però non mancano pascoli e dolci colline, fino all’Adriatico in circa quaranta chilometri di tornanti.

Più su, fitti boschi incantati, antiche selve dove l’Appennino è più vero.
Chiome d’alberi che hanno ispirato artisti e poeti, che hanno dato rifugio a santi e monaci, chierici e briganti.
Oggi rappresentano l’ultimo vero Eden, il nascondiglio per cinghiali, lupi, aquile e camosci.

Bisogna dire subito che da questa parti si mangia da Dio ovunque, pasteggiando con ottimo vino.

Basti pensare che tra le tante, ottime aziende agricole si annoveri la mitica cantina Masciarelli, marchio famoso nel mondo per il vino abruzzese.
Questa è terra di pastori e gli uomini ai piedi della montagna madre hanno dedicato e dedicano ancora la loro vita ad accudire pecore e a produrre formaggi di bontà infinita.

Sempre qui, non molto lontano, grazie a tecniche tradizionali e acqua pura che arriva dai valloni di montagna, si producono le paste delle migliori aziende del settore come la De Cecco, la Del Verde.
Come dimenticare, poi, che la “Guardia”, come definiscono il paese, i suoi abitanti, è tra i “borghi più belli d’Italia”, speciale classifica nazionale sulle eccellenze paesaggistiche e storiche?

Basterebbe declamare i versi del poeta Modesto Della Porta per scoprire tutta la bellezza naturalistica e i tanti artisti di una città che il D’Annunzio amava profondamente.

Si narra, a tal proposito, che il Vate arrivò la prima volta a Guardiagrele, in giovane età per accompagnare la madre che cercava i famosi utensili in rame forgiati a meraviglia dai maestri artigiani locali, nel borgo antico.

Scoprì allora il grande poeta questa incredibile fucina di arte tra splendide lavorazioni di metalli e sontuosa arte orafa, tramandata dal grande Nicola da Guardiagrele le cui opere sono sparse ovunque a cominciare dalla croce astile che fa bella mostra di sé a San Giovanni in Laterano a Roma e, per finire, al magico “Paliotto”, custodito nel Duomo di Teramo.

Oggi i suoi emuli, nelle loro fucine, battono con perizia il martello sulle loro incudini, forgiando ancora opere d’arte.

Ancora oggi tra feste popolari di rara bellezza e di tradizioni custodite gelosamente, da cinquanta e passa anni si svolge una tra le più belle Mostre dell’Artigianato Artistico Abruzzese, manifestazione famosa in tutta Italia.

Davanti la porta di San Giovanni sembra di essere immersi in un suk marocchino.
Tutto intorno botteghe, turisti infreddoliti dai portafogli imbottiti, artigiani dai larghi sorrisi.

Alle mie spalle, un rimescolio di creste dirupate e biancastre, di fianchi, ora tinti del pallido verde dei prati, ora spruzzati del candido vello bianco di una neve soffice, ora immersi nel colore smeraldo cupo delle boscaglie di faggi.

La guida rossa del Touring recita: “…a Guardiagrele si lavora di fino, si cesella, si ricama!”.
Tra una “presentosa” in filigrana, una sedia in paglia, un merletto in frange e nodi, un baule della nonna, un”barrique” in legno, un vaso di coccio e un pentolone in rame, sembra di essere tornati indietro nel tempo.

Attraverso le strette vie giungiamo in piazza.
All’angolo della chiesa di Santa Maria Maggiore si conservano gli stemmi delle famiglie nobili che si sono avvicendate nella vita politica e sociale del paese.

La basilica dell’XI secolo è meravigliosa, non a caso fa parte di un elenco di monumenti europei da salvaguardare così come notevole è il complesso monumentale di San Francesco d’Assisi.

Ci affacciamo all’altro balcone, quello meridionale rivolto verso il mare di Pescara.

Che meraviglia!
Due vedute speculari fra loro, ad abbracciare mare, colline e monti.
È ora di mangiare e a ben vedere anche in cucina Guardiagrele non ha nulla da invidiare.
Nel menù abbiamo gustato una delicatissima pasta con broccoli, agnellino di montagna in umido con patate al forno.
Infine, ecco il dolce tipico: Le Sise delle monache, due strati di soffice pan di spagna con crema pasticcera che ti rende buona la vita.
Il dolce fu creato da un grande pasticcere locale, tal Giuseppe Palmerio nel 1884.

I clienti, seduti al tavolo del caffè pasticceria, che assaggiarono per primi la creazione dello chef, rimasero estasiati dal sapore e, per la forma delle paste, imposero il nome un po’ dissacrante in onore dei seni delle suore nel vicino convento di clausura.

La passeggiata a Guardiagrele è giunta alla fine.

E mentre la mia gentile signora mi svuota la carta di credito nelle botteghe artigiane, torno verso le mura settentrionali, a rimirare l’impagabile veduta della
dea Maiella.


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Articolo di Sergio Scacchia pubblicato sul blog Paesaggio Teramano collegato alla rivista omonima.
Sul blog "Paesaggio Teramano" possibilità di visionare o fare il download dei numeri della rivista già pubblicati.
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Come raggiungere il borgo:
Da Nord:
Dall'autostrada Adriatica A14 in direzione Ancona, uscire a Pescara Ovest/Chieti e immettersi sull’Asse Attrezzato in direzione di Chieti, prendere la SS 81 in direzione di Guardiagrele.
Da Sud
Dall'autostrada Adriatica A14 in direzione Pescara, uscire a Val di Sangro, seguire la direzione Villa S. Maria, prendere la SS 652, continuare sulla SS 81 in direzione Guardiagrele.