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giovedì 11 aprile 2013

Nel maniero di Vallenquina

A voler dipingere il panorama che s’incontra risalendo il Castellano, la tavolozza dovrebbe contenere tutti i colori della terra: il verde dei boschi, il bianco dell’acqua che scende dalle montagne, il marrone delle mandrie, il grigio delle pietre dei borghi.

Partendo da Teramo verso Campli e deviando per Macchia da Sole, di sopra delle gole del Salinello ci si dirige a Leofara, il regno dei castagni.
Imboccando la strada per Valle Castellana si scopre una bella contrada a 869 metri di altezza, che vanta secoli di storia dai tempi del brigantaggio fino all’ultima guerra mondiale.

Vallenquina, è un minuscolo borgo che nei secoli scorsi era conosciuto come Valle Equina, potestà di una delle famiglie teramane più antiche, i Bonifaci, che abitavano in un castello consistente in una trentina di vani con tanto di barbacani e feritoie.

La potente famiglia aprutina aveva un enorme numero di possedimenti e il loro stemma ghibellino dell’aquila richiamava quello degli svevi già presenti nel maniero di Manfredi, Re di Sicilia, in Macchia da Sole, oggi definito “Manfrino”.

Il luogo, che nel 1804 contava sessantasette abitanti, nel 1940 raggiunse la ragguardevole cifra di centoventi residenti.
Oggi è semi deserto e gli eredi dei Bonifaci sono sparsi in provincia tra Campli e Teramo.

Nel piccolo abitato c’è ancora una bella chiesetta, molto più antica del castello, edificata probabilmente ai tempi di Carlo V, sotto la dominazione spagnola e dedicata al culto di San Nicola.

Le campane di questo luogo sacro, sembra provenissero dal monastero di San Sisto, un tempo presente su di un colle vicino, abbandonato e distrutto dopo un enorme numero di incursioni di briganti senza scrupoli.

Le orde di tagliagole, che infestarono per lunghi anni il posto, non infierirono mai sugli abitanti dei paesi vicini.
Il loro odio era indirizzato alla ricca famiglia teramana.

I Bonifaci però, oltre che da casato, erano nobili anche d’animo, dato che era frequente il loro aiuto alle popolazioni più bisognose.
I banditi erano di solito a volto coperto per coprire l’identità, ma con l’avvento dei Repubblicani, fu scoperto che la bandana sul volto celava l’identità di gente del luogo, fra cui, capobanda, tal Felice Andrea Angelini, originario di Prevenisco, bellissimo villaggio vicino.

I nobili anche in quel frangente, dimostrarono di essere di gran cuore, evitando di divulgare i nomi dei briganti che tante volte avevano razziato e depredato le loro sostanze.

Per chi si rechi in questo luogo, basteranno pochi minuti per rendersi conto dell’enorme importanza che rivestiva anticamente questa terra di confine, transito per chi dalla zona della Vibrata, s’immetteva tra le due montagne gemelle e i ruderi dell’antica stazione romana Castrum Metella, verso l’ardua via per Antrodoco e poi Roma.

Un grande numero di paesi merita una visita, da Fornisco a Collegrato, da Settecerri a Valle Pezzata.
Si può concludere degnamente la gita con una bella mangiata a base di funghi porcini.

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Articolo di Sergio Scacchia pubblicato sul blog Paesaggio Teramano collegato alla rivista omonima.
Sul blog "Paesaggio Teramano" possibilità di visionare o fare il download dei numeri della rivista già pubblicati.
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