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domenica 31 marzo 2013

I segreti di Piano Maggiore

Chi ama le storie raccontate dalle pietre e dal vento, apprezza questo luogo di assoluta bellezza.

Gli uomini duri e forti che popolavano l’Abruzzo minore, erano eroi aggrappati alla montagna, che conquistavano ogni giorno la loro esistenza senza garanzie e sicurezze.

Il paese abbandonato di Piano Maggiore è una chicca del paesaggio teramano.

Il monte Foltrone detto di Campli e il Girella di Civitella del Tronto qui regalano immagini dai tanti colori: le cromie dei fiori abbarbicati alle rocce, il verde dei pascoli, il grigio dei tetti consumati dal tempo, il cielo azzurro.

La magia esiste su queste montagne ritenute a torto, minori. La percepisci dall’alto di un picco roccioso, con tutti i sensi, tra crinali di pietra e macchie bianche di pecore al pascolo.
E’ la quotidianità che incontra lo straordinario.

Le montagne gemelle invadono ogni cellula del corpo e della mente, come una malattia inesorabile che non dà certezza di cura.

Lo scheletro di questa ghost town, uno dei tanti borghi abbandonati del comprensorio, fa tenerezza.

L’insieme di case è simile a un alveare corroso dal tempo, dal vento e dalla pioggia.
Il vento, da queste parti, soffia con brutalità selvaggia.

A un pugno di tornanti da Macchia da Sole, oltre mille metri di altitudine, il borgo di Piano Maggiore ha vissuto storie terribili, anche leggende, come quando, nel 1570, un gruppo di nove donne ritenute responsabili di crudeli sortilegi, fu processato.
Si videro costrette a confessare reati mai commessi e condannate al rogo.
Oggi, minuscole siepi di biancospino avvolgono le povere case.
Dall’altra parte della valle, fanno mostra di sé le geometrie dei pochi campi coltivati.

La vecchia chiesina di San Pietro custodisce un ossario, dove la leggenda vuole fossero sepolti i resti di temibili briganti quali, Antonio di Forca e Berardino di Celidonia con parte dei loro amici manigoldi.

Il brigantaggio da queste parti non è mancato dal Medioevo in poi, con personaggi come Marco Sciarra, Ursino di Sabatuccio, Alfonso Piccolomini.

Su quella che un tempo era carrareccia attraversata da mercanti della lana e del sale, pastori e nomadi, è facile imbattersi di domenica, in una torma indiavolata di ciclisti in tecnologiche mountain bike, con mutande elasticizzate, maglie sponsorizzate e caschi, tutti presi a scalare il rampichino delle marce in salita.

Non lontano, un minuscolo specchio d’acqua, il laghetto di Sbraccia, regala momenti di tranquillità tra fusti flaccidi di piccoli arbusti fiorati, immersi per metà nell’acqua.

Il Colle San Sisto, secoli fa custodiva un grande monastero con oltre cinquanta frati.

Oggi non è altro che un ciuffo di verde.
 Un tempo i corpi delle vecchiette erano chini a raccogliere cicorie e spinaci selvatici, armate di coltelli.

Oggi non cresce altro che zizzania.
Pochi passi per Leofara e il castello di Valleinquina, un tempo ricettacolo di briganti e lupi tanto che la tradizione ricorda nel 1700 un papa che, per liberarsi di scomodi personaggi, arse una consistente parte della foresta intorno.

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Articolo di Sergio Scacchia pubblicato sul blog Paesaggio Teramano collegato alla rivista omonima.
Sul blog "Paesaggio Teramano" possibilità di visionare o fare il download dei numeri della rivista già pubblicati.
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sabato 30 marzo 2013

La storia passa attraverso i rami!

Dal 2008 c’è una nuova legge a tutela dei boschi e dei loro silenti abitanti.
Chi fosse sorpreso a danneggiare i monumenti verdi incorrerà in un reato e l’articolo 635 del Codice di Procedura Penale prevede una reclusione fino a un anno e multe pecuniarie per rifondere il danno.

Speriamo che questa legge sia presto applicata!
 Una speciale classifica elenca i “fuoriclasse” della natura e i loro numeri da giganti.
L’Italia vanta circa 22 mila alberi di pregio di cui 2000 sono considerati di “notevole interesse”, circa 200 di eccezionale valore storico e molti altri di eccellenza per longevità biologica e struttura gigantesca.

Molti ignorano l’esistenza di un progetto di studio che l’Ente Parco Gran Sasso-Monti della Laga ha sviluppato in collaborazione con l’università della Tuscia di Viterbo, volto all’identificazione e la mappatura di “boschi vetusti” nell’area protetta.

Da questi studi si è arrivati all’identificazione di tre piccoli lembi pregiati:
le faggete di Fonte Novello di tredici ettari e dell’Aschiero di tre, ambedue nel territorio del comune di Pietracamela, riserva dei Due Corni e il Frassineto di Valle Vaccaro, nel comune di Crognaleto, monti della Laga.

Sono boschi minuscoli, certo non paragonabili a foreste come la Martese del Ceppo di Rocca Santa Maria o di San Gerbone, al confine con le Marche di Acquasanta Terme, ma in questi luoghi verdi c’è l’assenza per lunghi periodi, di disturbo antropico, cioè interventi da parte dell’uomo.

In particolare, il bosco di Valle Vaccaro a pochi chilometri dal ridente paesino di Cesacastina, rappresenta una rarità per tipologia forestale, di cui esistono pochi esempi in Italia.
Il suo habitat è ricco di necro massa, tronchi di alberi morti che possono regalare un’infinità di informazioni ad ambientalisti e botanici.
È risaputo che una delle peculiarità del nostro Parco è la presenza, nel territorio protetto, di alcuni numi tutelari, alberi da record sia per grandezza che per l’età.

In località Morrice, tra il Ceppo e Valle Castellana e a Mattere esistono, ad esempio, alberi secolari di otto metri di circonferenza di tronco e venti metri di altezza, veri giganti della natura, castagni tra i più maestosi d’Italia come il famoso “piantone di Nardò”.

Sono autentici monumenti nati da semi del 600, forse ‘500, magari mentre, in altre parti del mondo, Colombo scopriva l’ America.
I giganti arborei pagano dazio al tempo e agli agenti atmosferici tra folgorazioni di fulmini, piogge acide, vento, neve e attacchi virulenti di funghi e insetti divoratori del legno.

Purtroppo, nonostante il continuo controllo da parte delle Guardie Forestali, spesso si registrano danni perpetrati anche dall’uomo.

Il vandalismo e la stupidità umana non hanno confini per cui può accadere quello che non ti aspetti.

Anni fa, un gruppo di bulli, appiccarono il fuoco assassino, a un castagno centenario, lasciandolo giacente con la cima su di un fianco, le tristi radici in aria e alcuni dei grandi rami spezzati per sempre.

Sarebbe un sogno se la foresta potesse animarsi come accade nella saga del Signore degli Anelli, inghiottendo gli idioti che fanno queste cose oscene.

In questi boschi c’è un’irripetibile combinazione di aria, terra, luce e umanità che neanche i vandali possono distruggere: è l’opera di Dio.

A Piano Vomano di Crognaleto, lungo la Strada Maestra del Parco, un eccellente eco museo aiuta a conoscere i giganti delle foreste.
Le foto presenti nella sala attrezzata, documentano rami vecchi centinaia o migliaia di anni, baluardi di una storia da non dimenticare.

 Sarà possibile, con una semplice visita, scoprire luoghi bellissimi e semi sconosciuti come Fonte Bettina di Fano Adriano, Pietralunga di Castelli, Colle della Pietra, Pianello e Tignoso nel territorio di Crognaleto.

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Articolo di Sergio Scacchia pubblicato sul blog Paesaggio Teramano collegato alla rivista omonima.
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venerdì 29 marzo 2013

Andamento lento ... con la bicicletta

“Finché uomini e donne continueranno ad avere gambe, continueranno ad esistere le biciclette”.

Diamo voce al Coordinamento Ciclabili Abruzzo Teramano per farci raccontare l'intensa attività che sta portando avanti in favore dell’ambiente.



Incontriamo alcuni rappresentanti del raggruppamento apartitico di associazioni che raccoglie le adesioni di 61 sigle tra turismo, sport, ambiente e ha tra i suoi obiettivi la promozione della mobilità ciclabile:
Lucio De Marcellis, Alessandro Tursi, Raffaele Di Marcello e Fabio Vallarola in rappresentanza di un gruppo più numeroso (tra cui Gianluigi Camillini, Dante Caserta, Giovanna Gotta, Mauro Vanni, Massimo Fiamma, Niels van Bemmelen, Valter Ciaffoni e altri).

Qual è lo stato di avanzamento della ciclabile costiera denominata Corridoio Verde Adriatico?
Sono completi i tratti dal Tronto fino a Cologna spiaggia, il territorio di Pineto fino alla Torre di Cerrano esclusa, l'area metropolitana con Montesilvano-Pescara-Francavilla, non tutta ciclabile, ma utilizzando il lungomare molto più sicuro della Statale 16.
Stesso discorso per Silvi e Roseto, quasi prive di ciclabili, ma almeno dotate di lungomare che permette di evitare la statale.
Poi da Ortona a Vasto c'è la vecchia ferrovia di 49 km che percorre tutta la Costa dei Trabocchi, per la quale è prevista la riconversione in ciclabile. Infine Vasto, che ha realizzato il collegamento con San Salvo Marina.

I punti dolenti sono al momento il tratto rosetano del Borsacchio, vero "buco nero" del sistema ciclabile regionale, e l'attraversamento del Vomano, dove c’è bisogno di una corsia protetta sul ponte SS 16.
Da citare la ciclabile Porto D’Ascoli-San Benedetto-Grottammare- Cupra marittima, che va al più presto collegata con quella della costa teramana per realizzare un tratto continuo di oltre 40 km da Cupra a Cologna.

A che punto siamo con la “cultura della bici” nel teramano?
L’alibi di molti amministratori per cui non servono le ciclabili poiché nessuno usa la bici è falso.

Il motto degli amministratori olandesi negli anni ‘60, quando si decise di ridurre l’uso dell’auto per puntare tutto sulla bici fu “costruite le ciclabili e i ciclisti verranno”.
E così è stato.

Già in molte città del nord la ciclo cultura è un tutt’uno con la cultura urbana di tendenza soprattutto tra i giovani: la bici fa moda e aggregazione, è divenuta sinonimo di stile di vita.
L’orografia da noi, però, incide: la costa è perfetta ma per l’interno siamo ai primissimi passi.

Già, le aree interne!
Una costa forte turisticamente lo è se ha alle spalle un territorio ricco di offerte.

Da qui la necessità di una serie di collegamenti mare-entroterra sfruttando le valli fluviali, quasi in piano, dove tutti possono pedalare agevolmente.

Ecco le proposte per la Ciclabile del Tordino, Teramo-mare, ma anche le piste in sede riservata o protetta lungo il Vibrata, il Salinello (dove si potrebbe sfruttare l’ampia carreggiata), il Vomano (lungo i percorsi esistenti nei pressi degli argini), del Piomba e del Saline-Fino.

Teramo-mare ciclabile. A che punto siamo?
La fase progettuale è avanzata; si è ipotizzato un tracciato e si sta procedendo ai rilievi delle proprietà e degli eventuali vincoli.

Entro la fine del 2012, il progetto preliminare dovrebbe essere pronto e, non appena la Provincia riuscirà a reperire i fondi (l’opera comporta un impegno economico considerevole) si potrà dare avvio ai primi lavori, magari suddividendoli in lotti. I tempi, purtroppo, dipendono dalle disponibilità.

Nulla vieta che ogni Comune inizi a realizzare i tratti di propria competenza, magari tracciando inizialmente un percorso per mountain bike.

Una volta “aperta la strada”, probabilmente, anche i privati saranno interessati a investire sul percorso, magari con punti di ristoro, agriturismi, ecc., finanziando piccoli tratti. In altre zone d’Italia si è iniziato con poco e adesso i percorsi ciclabili muovono un’economia di milioni di euro.

In cosa consiste la proposta di legge regionale sulla mobilità ciclabile?
È introdotto il concetto di "rete ciclabile", inteso come sistema condiviso, su base regionale, di percorsi ciclopedonali.

Tale rete viene poi meglio specificata su base provinciale e, con l'ausilio di appositi uffici che vengono creati in Regione e nelle quattro Province, tutti gli Enti interessati possono concentrare le risorse non più sulla singola opera ma su un tratto di un sistema più ampio.

Infatti, la singola opera, pensata magari per un solo Comune, diventa parte della viabilità ciclabile dell'intera Regione, collegandosi con il più ampio sistema di piste ciclabili che è stato studiato dalla FIAB (Bicitalia) per l'intero territorio nazionale che, a sua volta, si collega alla rete Eurovelo che attraversa tutta l'Europa.

La legge, quindi, non è più una semplice legge di finanziamento ma crea una vera e propria rete ciclabile regionale favorendo anche l'intermodalità bici+treno e bici+autobus.
Speriamo che la proposta sia condivisa da tutte le forze politiche e venga adottata al più presto dal Consiglio Regionale.

C'era anche l'idea di collegare i parchi marini dell'Adriatico attraverso sistemi di mobilità sostenibile?
Esiste una rete di lavoro tra tutte le Aree Protette marine e costiere dell'Adriatico con il nome di AdriaPAN (Adriatic protected Areas Network) e che è stata interessata, attraverso il Consorzio di gestione dell'Area Marina Protetta Torre del Cerrano, dall'idea di creare un sistema di mobilità turistica a basso impatto che si avvalesse dell'uso della bicicletta per i propri spostamenti.

L'idea ha avuto un immediato riscontro in particolare da parte delle aree protette centro adriatiche italiane e croate.

Si tratta del progetto che ha preso il nome di BySEAcle.
L'idea è di avviare una mobilità turistica su biciclette lavorando esattamente come si fa per la protezione delle specie migratrici dell'avifauna.

Il ciclo-turista è identificato come una specie in pericolo, cosa che sulle strade normali non è poi lontana dalla realtà, che trova rifugio all'interno delle aree protette avendo a disposizione piste ciclabili, ricettività adeguata, servizi, informazioni etc. e, quando deve lasciare l'area protetta, può trovare informazioni e servizi necessari per raggiungere sano e salvo la successiva zona verde in termini di piste esistenti per bici, trasporto in treno, in traghetto o in barca, punti di appoggio, associazioni attive.

Il Coordinamento pubblica le sue attività sul sito internet (www.abruzzoinbici.it/coordinamento) e su un gruppo Facebook.



Gli articoli inseriti nella rivista sono redatti da Sergio Scacchia, autore tra l'altro di tre libri:
"Silenzi di Pietra" e "Il mio Ararat" e "Abruzzo nel cuore".

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Gli articoli sono inoltre pubblicati da Vincenzo Cicconi della PacotVideo , tra l'altro gestore di questo blog, su:
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giovedì 28 marzo 2013

Il silenzioso Gnor Paolo a Teramo!

A Teramo una figura in pietra familiare a tutti campeggia in Largo Proconsole.
E’ murata a fianco della chiesa dello Spirito Santo, ben visibile, quasi reale, che sembra guardare ai pregi e difetti della nostra città.
Molti avranno capito che parlo di “Sor Paolo” o meglio “Gnor Paolo”, il termine popolare per indicare la statua togata del patrizio romano che per molti teramani è senza storia e senza nome.

Invece di storie “Sor Paolo” ne avrebbe da raccontare!
Questa statua, copia mal fatta di un originale scomparso, risale ai principi dell’impero Romano e fu eretta nel foro della nostra città in onore di Quinto Poppeo.
Doveva essere a quei tempi una sorta di patrono della città, primo esempio di monumento pubblico innalzato dai mitici Interamniti a uomini ritenuti benemeriti della città.
Che cosa abbia fatto per Teramo questo console non è dato sapere.

Due secoli or sono in contrada Acquaviva, nei pressi della Gammarana, fu rinvenuta una lastra marmorea che giaceva alla profondità di quasi 200 metri.
Era chiaro che si era di fronte al coperchio di una tomba.
Una scritta incisa parlava di Quinto, patrono onorario di Teramo e di una colonna eretta a suo nome.
Secondo gli storici, questo lastrone di marmo costituiva il piedistallo della statua in onore del patrizio romano.

“Sor Paolo”, di là da storia o supposizioni è comunque sempre lì a scrutare nei secoli i mutamenti di una città ancora oggi alla ricerca della sua identità.
Anni fa la statua prese connotati “gossip”.
Era utilizzata durante i festeggiamenti di San Martino per appendere messaggi delatori nella sua mano ai “cornuti” della città.
Tutti tremavano all’idea di essere beffeggiati scoprendo l’adulterio del coniuge.

Nella festa degli innamorati, a San Valentino, le coppie timide si dichiaravano con bigliettini d’amore appesi alla statua in cui tutto l’ardore giovanile prorompeva in un “, ti amo!”poderoso.

La festa dedicata a questo personaggio rappresentava una grande tradizione cittadina, una cerimonia significativa cui partecipavano oltre ventimila persone.

Si assiepavano in questa piazzetta, antico ritrovo popolano, dove si rideva, si mangiava, ci s’incontrava nel clou della passeggiata giornaliera.
Altra folla si accalcava sotto il piccolo porticato che ospitava la locanda oggi gestita dall’amico Schillaci.

Durante i mitici anni ’60 anche la Rai s’interessò al fenomeno con ben quattro interessanti servizi sulle reti nazionali destinati a immortalare una festa particolare dove una statua semi sconosciuta assurgeva ai più grandi onori rivestita di un mantello e con la bandiera del quartiere nella mano sinistra.

Una festa popolare densa di avvenimenti resa ancor più famosa dal gemellaggio che avvenne proprio nei primi anni ’60 con il conosciutissimo Pasquino romano davanti ad un botto di gente in un clima di giocosità e fraternità.
Sul palco quel giorno si avvicendarono bande musicali e poeti in vernacolo per una gara esaltante fra artisti del dialetto romano e teramano.

I nostri “Ignorantelli” e quelli del “Rugantino de Roma” allietarono i convenuti con balli e canti.
La festa continuò con l’immancabile sfilata, copia di quella dell’antichità più profonda, degli appartenenti alle vecchie corporazioni artigiane teramane, con l’elezione del “Governatore” del rione, in carica per un anno.
Famose anche le grandi estrazioni della “Lotteria del Proconsole” che vedeva come premi montoni, tacchini, polli, riffa abbinata alla “Sagra de lu gallinacce” con tacchino alla canzanese, alla neretese e quant’altro.

Per anni imperversò anche la famosa corsa podistica dei Rioni, capostipite della “Maratonina Pretuziana”.
Altri tempi, qualcuno dirà, ma tutti noi a Teramo sogniamo che tornino questi momenti di gioia.

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Articolo di Sergio Scacchia pubblicato sul blog Paesaggio Teramano collegato alla rivista omonima.
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mercoledì 27 marzo 2013

La “green way” di casa nostra

Se un amante della bici dovesse un giorno immaginare come possa essere il paradiso, lo vedrebbe fatto di piste ciclabili, colonnine di bike sharing e città piene di gente a cavalcar sellini.

Nel prossimo biennio la Teramo Mare ciclabile lungo il fiume Tordino sarà realtà.

La nostra provincia giungerà buon’ultima perche, nelle vicine Marche, gli ascolani inaugureranno presto il collegamento “dolce” tra San Benedetto del Tronto e il capoluogo, attraverso il Tronto.

Che la realizzazione di piste ciclabili sia una priorità regionale nella gestione della mobilità e del turismo, è sotto gli occhi di tutti.


E’ la grande sfida per una migliore qualità della vita, con una ricaduta che potrebbe essere molto positiva per il turismo teramano e quello dei comuni interessati al Piano d’Area della Vallata del Tordino come Giulianova, Roseto, Mosciano, Bellante, Canzano, Castellalto, Notaresco.

L’Amministrazione Provinciale avrebbe individuato come prioritario per lo sviluppo del territorio, una via verde che colleghi il capoluogo col mare.
Il progetto prevede non solo una semplice pista ciclabile e pedonale ma anche un’autentica green way di passerelle e segnaletica che collegherà una serie di emergenze ambientali, urbanistiche, culturali e storiche.

Sarà possibile il recupero di antichi collegamenti rurali, attrezzandoli per il turismo ciclo pedonale.

Daremmo il giusto impulso a un turismo nuovo, giovane ed europeo che coniughi la costa con l’entroterra e le sue attrattive.

Il sogno sarebbe quello di creare una grande via che dal mare conduca in montagna seguendo gli antichi sentieri pastorali risalenti il Tordino fino a Padula e il Rifugio della Fiumata, alle sorgenti sotto il monte Gorzano.

Riscopriremmo splendide testimonianze di vita tra cui vecchie masserie, mulini antichi come quello di Casanova, pregevoli monumenti come l’esempio cistercense della fatiscente chiesa di San Flaviano di Tavolero e la romanica San Paolo a Pezzelle, deliziosi borghi nel cuore del Parco come Colle e Fiume che conservano ancora architetture antiche.

C’è bisogno che la politica favorisca l’accessibilità ciclistica con infrastrutture dedicate alla mobilità alternativa, realizzando il “biciplan”, il piano strategico della mobilità ciclistica come nella vicina Ascoli Piceno.

Anche le strade delle colline teramane, panoramiche e poco trafficate, debbono diventare itinerari per il cicloturismo, valorizzando le tante emergenze territoriali delle frazioni: fonti storiche, piccoli borghi antichi, aree archeologiche.

Dalla costa adriatica dell'Abruzzo teramano verso l'interno, terra d’incantevoli borghi e di parchi.

Questi gli obiettivi da raggiungere.

Abruzzoin bici è un sito curato dal professor Lucio De Marcellis dove è possibile trovare le ipotesi di quattro stupendi percorsi alternativi alle auto:
1 - Crinale vibratiano (Alba Adriatica, Colonnella, Controguerra, Ancarano, Sant’Egidio);
2 - Crinale dei Farnese e dei Borbone (Giulianova paese, Montone, Bellante, Campli, Civitella del Tronto);
3 - Crinale Aprutino (Roseto, Montepagano, Notaresco, Castellalto, Valle Canzano, Collurania, Teramo);
4 - Crinale di Adriano (Pineto, Atri, Cellino, Cermignano, Val Vomano, collinare verso Pilone, Villa Ruzzi, Castel Castagna, Isola del Gran Sasso.



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martedì 26 marzo 2013

Sguardo al cielo, piedi sulla terra!

Tornano i giorni della Pasqua e noi la celebriamo con rappresentazioni religiose itineranti che culminano, all’alba del Venerdì Santo, nel centro storico di Teramo.

La processione della “Desolata” è un esempio in tutta la Regione di grande devozione mariana.
Un evento atteso un anno intero, una rappresentazione teatrale collettiva tra passi, canti e cori strazianti delle donne vestite di nero.

La morte e Resurrezione del Cristo si rievoca in ogni borgo del teramano con funzioni e processioni che riaffermano il vincolo partecipativo delle comunità.

Il senso di appartenenza cristiana ma anche l’amore per l’arte, ci porta a riscoprire le splendide chiese del romanico che costellano la valle del Mavone da qualcuno definita, con splendida intuizione, “via sacra”.

Torna la primavera, cambia il paesaggio, le giornate si allungano.
I boschi e i sentieri in montagna si ripopolano di camminatori.
Le cenge del Gran Sasso sono nuovamente prese d’assalto dai ragni delle pareti, gli arrampicatori.
Gli amanti delle due ruote salgono in sella alla ricerca di piste ciclabili, dove pedalare in tranquillità sui sentieri della libertà, i “freedom trail”, le “green way” di cui abbiamo bisogno come il pane.

Quello che la nostra rivista vuole trasmettere a voi lettori, sta soprattutto negli occhi e nella mente di chi desidera semplicemente scoprire il bello della vita, guardarsi intorno e vedere i contorni e le prospettive di una terra, l’Abruzzo teramano, che ancora una volta stupisce per la sua bellezza.



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lunedì 25 marzo 2013

Nel cuore del mito: Le storie fantastiche del Manfrino!

I raggi del sole che penetrano nelle ombre scure dei tronchi di alberi secolari, riportano alla mente le fiabe dei nonni.

Siamo sopra la gola del Salinello, tra la montagna di Campli e quella dei Fiori.
L’arrotondata cima di monte Girella sembra di una monumentale perfezione, con un piccolo raggio di luce vivida di sole che esalta all’altro lato il monte Foltrone sullo sfondo.

Il sole sembra aver abbandonato questi monti e la sottile nebbia che li avvolge dona un senso di misterioso all’insieme.
Le grotte sotto il mitico Castel Manfrino, punteggiano le strette pareti e raccontano storie incredibili di anacoreti che per lunghi anni hanno vissuto in privazione e preghiera travalicando la sopportazione umana e dando un senso compiuto alla Torah e alla sua essenza inafferrabile.

Le mute pietre della rocca riflettono gli ultimi strali di fuoco rievocando racconti di streghe e diavoli, negromanti e spiriti perversi, animali fantastici e cavalieri erranti, folletti e licantropi.

Tante le leggende fiorite su questi nobili ruderi come quella che racconta dell’erezione dei muri di cinta di quest’antico castello, oggi diroccato e a picco sulle gole, da parte di esseri umani di proporzioni gigantesche, i mitici Paladini di Francia.

Il re Manfredi volle il luogo inespugnabile, preoccupato da una possibile invasione, dalle attuali Marche, dei temibili Angioini.
Era, questo passo tra i monti, di notevole importanza strategica per chi, proveniente da Roma e Antrodoco, attraverso l’antica stazione romana Castrum Metella intendesse giungere al mare adriatico.
Il sottosuolo della collina, dove sorgono i resti del forte, ha restituito spesso monete, statuette, monconi di capitelli e pezzi di lapide.

Qui sono passati tribù italiche, Romani, Longobardi e via, via tutti i popoli che sono entrati in Abruzzo, permettendo il commercio del sale e di altri beni preziosi e consentendo l’arrivo di tanti abati trasformatisi poi in eremiti.
Tutto ciò stride con il senso di solitudine in cui versa oggi la zona.

Tanti hanno alimentato leggende stupefacenti raccontando di essersi imbattuti in demoni orrendi dalla forza inaudita o nauseanti “mazzmarill” roteanti assurdamente fianchi e manine.

In un vecchio libro sulle leggende abruzzesi, si riporta l’antica credenza che, nelle notti di luna piena, spesso tra le pietre del castello diroccato, si svolgano furiose battaglie tra cavalieri fantasma; spettri di guardia mozzerebbero le mani agli umani che cercherebbero di assistervi.

Le grotte sotto i resti del castello sembra abbiano, nel corso dei secoli, ospitato anche esorcisti e guaritori.
Si trattava di asceti che riuscivano a guarire, secondo le credenze popolari, dalle presenze demoniache, con strani rituali purificatori.
Questa tesi sarebbe avvalorata dalla scoperta di piccole nicchie con tracce di antichi affreschi, dove erano consumati tali riti.

In questa valle San Francesco, che la tradizione vuole sia passato nel 1215, dimorando alcuni giorni in un anfratto della parete nord del Foltrone, mentre tornava al suo giaciglio dopo aver predicato nel villaggio vicino, fu aggredito da una moltitudine di pidocchi inviati dal malvagio che vigilava dall’altra parte della gola.

Il poverello d’Assisi puntò il suo vincastro facendo partire una folgore che, colpendo in fronte Satana, lo fece precipitare lungo l’alveo del fiume, uccidendolo sul colpo.
A riprova di ciò ci sarebbe una pietra, dove il santo si poggiò in cui sono evidenti le impronte delle mani e dei piedi e un grande foro nel punto in cui il maligno precipitò.

Nel fondo della gola, dove il fiume si presenta più tumultuoso, narrano ci sia un enorme macigno che bloccherebbe una cavità naturale, al cui interno si nasconderebbe un tesoro in monete d’oro, rame e argento.

Il bottino, la cui proprietà risalirebbe al Re Manfredi, sovrano del castello di Macchia, sarebbe custodito da una splendida fata vestita di bianco che, quasi una sorta di Penelope, tesse e disfa la lana in continuazione.

Edordo Micati, nel suo libro sugli eremi della montagna teramana, parla di un monaco che se ne sta nel fondo della grotta dritto e in silenzio in attesa del comando della bianca signora.


Diversi cava tesori, nel corso dei secoli, hanno provato a impossessarsi dell’ambito mucchio di monete, perdendo sciaguratamente la vita.

Si è diffusa così la credenza che esseri mostruosi si annidino nella valle, impedendo con tutti i mezzi, il trafugamento della ricchezza, servendosi di uragani e tempeste, fiamme e bagliori.

Il sovrano, grazie a un ignobile patto con il diavolo, fece uccidere il suo fidato consigliere di corte, sotterrando il corpo, privo di vita, insieme al tesoro per far sì che l’anima vagasse, inquieta, tenendo lontano i curiosi con gemiti, urla e imprecazioni.

La leggenda racconta che chi si avventurava nell’orrido, dovesse inizialmente portare via solo le monete in rame, per poi ripresentarsi tre anni dopo per quelle in argento e successivi tre anni per depredare in tranquillità, le ambite monete d’oro.

La cupidigia degli avventurieri per il metallo più nobile faceva sì che la porta d’ingresso si richiudesse dietro di loro facendoli perire dentro l’anfratto. 

Scendendo nel canyon dove la luce riflessa gioca sui toni del bianco e del grigio, soffocando i colori brillanti della valle, avvertirete quel sottile senso di disagio che comunemente si chiama paura!

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Articolo di Sergio Scacchia pubblicato sul blog Paesaggio Teramano collegato alla rivista omonima.
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domenica 24 marzo 2013

La Domenica delle Palme nella tradizione teramana.

Ancora una volta la piccola processione vespertina della Domenica delle Palme partirà, a Teramo, dalla monumentale chiesa di Sant’Antonio, per giungere davanti al Duomo di Teramo dove verrà officiata la Santa Celebrazione Eucaristica dal Vescovo, Monsignor Michele Seccia.

Il corteo di fedeli con gli immancabili ramoscelli di ulivo sarà ancora il segno tangibile di una partecipazione forte e sentita ai riti pasquali.

Un grande scrittore cristiano, Isidoro di Siviglia, definiva questo giorno, il “Dies Palmarum” il momento della conta per sapere quanto cristiani oggi ancora sopravvivono alle apostasie.

Nella tradizione teramana questo antico rituale nel giorno del "Dies Palmarum", codificato già dall’VIII° secolo, prevedeva oltre alla benedizione delle piantine, una grande processione rievocante scene evangeliche tra le più significative.
I piccoli centri di montagna si univano e preparavano per giorni questo momento di profonda devozione, costituendo degli appositi Comitati organizzatori.

Una di queste grandi processioni, per quel che riguarda la Valle Siciliana, si snodava ad Isola del Gran Sasso, in un momento di fede collettiva tra gli abitanti di Tossicia, Colledara, Castelli e altri centri minori.

Durante il corteo, tra lo sventolio delle palme benedette, alcune comparse inscenavano momenti sacri come l’incontro di Gesù con Maria e Marta e la Resurrezione di Lazzaro.

In alcune antiche edizioni sembra sfilasse anche l’asinello coperto da mantelli (ricordate che nel Vangelo si legge che l’animale era coperto dalle stuoie degli Apostoli?).

Cortei si snodavano ovunque in provincia, avvalendosi dell’organizzazione delle suore che arrivavano da altri luoghi, come le camaldolesi dalle vicine Marche, nell’ascolano.
Tra grossi rami d’albero tagliati per essere agitati ai lati della processione, un coro si elevava all’unisono:

Osanna al Figlio di Davide;
Benedetto Colui che viene nel nome del Signore! (Matteo 21, 8-9).

Era la rievocazione della grande festa ebraica detta delle “Capanne” che nella notte dei tempi, si svolgeva in autunno, quando le piccole palme dovevano essere agitate almeno tre volte, rivolte verso le direzioni dei punti cardinali.

Le processioni più grandi si svolgevano a Montorio al Vomano, Atri e Pietracamela, dove il corteo dei fedeli giungeva, anche in presenza di neve, dalla frazione di Intermesoli.
Tutti, alla fine del rito, portavano a casa il ramoscello d’ulivo, conservandolo gelosamente accanto al crocifisso che non mancava mai sopra la testata del letto o attaccata ad una immagine sacra, come segno di benedizione divina per la casa e i suoi abitanti.

I non credenti vedono in queste manifestazioni religiose, tra asinelli, piantine e villici che battono le mani, una parodia grottesca di magnificenze imperiali.
Al contrario, questi piccoli trionfi popolari hanno rappresentato la fede più pura.

 La scena del Cristo entrante in Gerusalemme acquistava con questi cortei, solennità, colorandosi di un segno di glorificazione messianica.

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Articolo di Sergio Scacchia pubblicato sul blog Paesaggio Teramano collegato alla rivista omonima.
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sabato 23 marzo 2013

Maria S.S. di Ponte a Porto a Frondarola!

Non lontano da Frondarola e Valle San Giovanni, sulle colline teramane c'è la suggestiva chiesina di Santa Maria di Ponte a Porto.

E' ubicata su di un pianoro alla sinistra del fiume Tordino, in un minuscolo borgo formato da poche case rustiche adibite a magazzini.

Qui un tempo esistevano altri templi rurali documentati da fonti del XIII, XIV secolo e oggi non più visibili.
L’importanza di questo sito era notevole nell’alto medioevo.

La parola “Portus” confermerebbe la tesi suggestiva dell’esistenza di un piccolo porto fluviale di epoca romana, attrezzato per il trasporto del legname, che dai monti giungeva all’Interamnia e addirittura a Castrum Novum Picenum, l’odierna Giulianova.
L’ipotesi appare comunque remota per la presenza di grosse rocce che avrebbero reso impossibile la navigazione.

Chi visita la chiesa, troverà un affresco sull’altare laterale sinistro dell’unica navata a pianta rettangolare fatta di mura a pietra di fiume e copertura a “capanna” con capriate e mattoni a vista.
L’opera, restaurata, raffigura la Madonna in trono con San Sebastiano e San Rocco ai lati.
Il dipinto è databile tra la fine del XV secolo e i primi anni del XVI e dimostrerebbe l’esistenza di una cappella votiva in epoca più remota della chiesa attuale sorta nel 1649.
La data si nota, scolpita, nell’architrave del piccolo portale d’ingresso.

Nella sacrestia, tra gli stipiti in pietra e l’architrave della porta, ai lati di un anagramma dedicato a San Bernardino, si legge un ‘altra data, il 1663.

Prima di allora la chiesa era un’edicola votiva, meta di pellegrini che dalle montagne arrivavano a valle a chiedere aiuto spirituale.

Qui passava un’importante strada che da Frondarola risaliva verso le terre dei Morricone, nei pressi di Tofo di Torricella, Villa Popolo, Colle Caruno, Villa Gesso, Roiano, il castello dei Melatino a Battaglia e Civitella del Tronto.

Per molti storici era una variante della famosa Salaria.

La piccola cappella deve le sue antiche fortune ad una tradizione che definiva santo un vecchio eremita, autore di prodigiose guarigioni tra il popolo.
Questi usava porre il suo giaciglio notturno proprio dove sorge oggi la sacrestia del tempietto sul fiume.

Alcune incisioni antichissime ritrovate all'interno della chiesa, testimoniano un avvenimento miracoloso.
I soldati della Fortezza di Civitella di passaggio per Montorio, ringraziavano la Madonna per averli salvati da una delle frequenti piene del fiume.
La leggenda racconta che il corso d’acqua si era ingrossato per le grandi piogge cadute per giorni.

I malcapitati militari, di passaggio in quel luogo, si trovarono in serio pericolo, mentre il ponte, che collegava le due rive del Tordino, stava crollando sotto i colpi delle intemperie.
Apparve allora la Madonna.

Fu vista nitidamente mantenere con le sue mani il ponte, permettendo agli uomini di mettersi in salvo.
Queste storie popolari, danno l’idea del profondo culto che le nostre zone esprimono per la mamma del Cristo.

Le incisioni spiegano, probabilmente, il toponimo di Ponte a Porto.
Vi era in zona un guado di epoca romana, del quale si vedono, ancora oggi, vecchi resti di pilone.

Sembra certo che per “Porto” si debba intendere il pagamento di un pedaggio riscosso da una guarnigione di gabellieri posti sotto il castello di Frondarola.

Altre teorie attribuiscono al nome ben altri significati, non suffragati da documenti.
Della statua della Madonna, oggi custodita altrove, è bellissimo il manto rosso che la copre sul trono. Lei ha le mani conserte e reca sulle gambe il Bambino Gesù, iconografia gotica che mostra la Vergine dal volto austero e la mano destra benedicente.

Interessante è anche il trono monumentale la cui configurazione ha interessanti precedenti nella Madonna con Bambino della splendida pieve di San Salvatore a Canzano e nell’affresco della chiesa di Santa Maria in Costantinopoli a Scanno, datato 1478.

Non passa inosservato, all’interno della chiesina, l’intero arredo sacro, composto da candelieri e due crocifissi intagliati in legno.

Sopra l’altare maggiore campeggia una bella tela a olio datata 1777, che ritrae la Madonna a braccia aperte, seduta su di una nuvola, sorretta da cinque piccoli putti.
In alto la figura di Dio e Cristo, entrambi muniti di scettro che cingono la corona dell’Immacolata.

Due sponde che degradano verso un fiume a formare un piccolo guado, una strada rurale, un gruppo di casupole, una chiesetta di semplici pietre, ma quanta storia, quanta arte, quanta umanità!

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venerdì 22 marzo 2013

La processione antelucana della Desolata!

Il rito antichissimo nel cuore dell’Interamnia resiste al tempo.

Se è vero che l'anima di una città è riassunta in particolari avvenimenti, la processione antelucana, all’alba del Venerdì Santo a Teramo, è uno dei modi più intensi per esprimere la propria natura e la propria storia.

Si tratta di una devota rappresentazione paraliturgica della Madre del Cristo alla ricerca angosciosa del Figlio condannato a morte, nelle chiese del centro storico.
Le “Addoloratine” sfilano con la statua sofferente della Vergine, cantando antiche lamentazioni funebri.

Il corteo di fedeli segue, a lume di candela e in assoluto silenzio.
L’uso delle campane è interdetto in segno di lutto.
L’evento è di grande impatto patetico, sia per le ombre, che avvolgono la città che per l’atteggiamento raccolto di tutti.

Una processione risalente al tredicesimo secolo, povera di apparati scenografici con la sola presenza di una croce nuda e della Madonna listata a lutto.
Attendibili documenti attestano che la tradizione ebbe origine nel 1260, anno di fondazione dei Disciplinati della Morte, confraternita con sede nella vecchia chiesa di San Giacomo, distrutta da molti anni.

L’associazione laico religiosa esercitava opere di carità e culto ed era una delle diverse realtà cittadine che operavano nelle chiese.
La più importante di esse era quella dello Spirito Santo che gestiva un ospedale e assisteva malati e condannati a morte.
Oggi l’organizzazione dell’evento è assicurata dalla Confraternita della chiesa dell’Annunziata, sede diocesana dell’Adorazione Eucaristica.
L’affannosa ricerca del Figlio da parte della Madre abbraccia idealmente tutta la città.

Nel corso degli anni il percorso è mutato a causa della scomparsa di alcune chiese come quella di San Matteo il cui edificio è stato alienato nel 1940, la Misericordia, sconsacrata e oggi dedicata a sala conferenze per i mutilati di guerra o quella di Sant’Antonio Abate del vecchio psichiatrico, fatiscente.

Ciò che non è mutato nel tempo, è la grandiosità della devozione cittadina di cui parla in un libro, Padre Donatangelo Lupinetti, attento osservatore e custode delle tradizioni abruzzesi.
Il religioso ammoniva di non erodere alle radici le tradizioni popolari.

Ricordava, insieme alla processione della Desolata, la celebrazione delle “tre ore di agonia del Cristo”, liturgia particolarissima detta delle “sette parole” pronunziate da Gesù durante le sue tre ore di strazio, pendente sulla croce.

Il pio esercizio, più della Via Crucis, si imbeveva di misticità e raccoglimento, tra canti, prediche, preghiere che facevano rivivere i minuti finali della vita del Salvatore.

Lo scenario era inquietante: un grande Calvario, le finestre della chiesa oscurate, il coro che intonava il “Miserere” e l’ambone listato a lutto con il lettore che commentava le ultime parole di Gesù.

Il popolo in assoluto silenzio ad ascoltare, per poi formare alla fine un serpentone interminabile pronto all’atto della umiliazione e adorazione davanti il legno sacro.

Tradizioni sacre ormai disperse dal vento dei tempi!
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giovedì 21 marzo 2013

Colle San Marco di Ascoli Piceno: luogo di arcani!

Rosina ha conosciuto la guerra mondiale e l’atomica, ha visto morire il comunismo e abbattere il Muro. Ricorda Mussolini, Picasso, Gandhi, Sinatra e ha ascoltato pure Armstrong suonare la tromba a Sanremo.
Non aveva mai visto però l’orrore dei fatti di cronaca nera che inducono tanti a salire al Colle San Marco di Ascoli Piceno.

Un turismo bieco che s’inebria del fascino di calcare la terra su cui un marito che dicono assassino ha piantato coltellate al petto di una moglie bellissima.
Eppure questo luogo, lo sa bene Rosina che ci è nata quasi cento anni fa, è carico di ben’altro fascino, ricco com’è di bellezze naturali e culturali.

Un amico comune mi ha fatto conoscere quest’adorabile vecchietta che abita non lontano da una chiesina dopo il piccolo cimitero di Piagge.
Ha le gambe malferme, l’incedere è ondivago, ma gli occhi sono fiammeggianti e ricorda perfettamente tutto.

È un antico convento quello di San Marco fondato dai monaci cistercensi agli inizi del 1200.
L’edificio è quanto di più suggestivo si possa cercare.
Si sviluppa su due livelli e nell’ambiente inferiore che è una grotta scavata nella roccia, si trovano resti di altari e tombe rupestri. Salendo al piano superiore, si gode di un’Ascoli più bella che mai, posta ai piedi del visitatore con sopra le cime frastagliate del piccolo monte dell’Ascensione.

Si è come affacciati su di una scoscesa forra che precipita verso la città del Picchio.
Dopo un’esclamazione di meraviglia, si può immaginare quello che potevano regalare alla vista i miseri resti di affreschi che s’intuiscono bellissimi.

Secondo la vecchina, quando il sole corre a celarsi tra le montagne della Laga tappezzate di un verde opaco, da queste parti iniziano cose inenarrabili.

Ci sono i fantasmi, mi dice, fanno rumori infernali fino al “Dito del Diavolo”.
Mentre il pensiero irriverente corre agli spiritelli maligni che in questi giorni si divertirebbero non lontano da qui, nella fortezza di Civitella del Tronto e per i quali hanno scomodato anche un “ghostbuster” un acchiappa fantasmi, la vecchia rincara la dose.

Vacci pure, mi dice sgranando gli occhi, di giorno non c’è pericolo, “loro” escono al crepuscolo.

Seguo il sentiero nel bosco e arrivo al dito diabolico che altro non è che un enorme obelisco di roccia, dove giacciono i resti di un altro convento, dedicato a San Lorenzo e fondato pare nel 750 dai monaci cenobiti.

C’è anche un buco gigante nella roccia dove pare dimorasse una sorta di San Giovanni Battista, un eremita oggi beato, tal Corrado anacoreta ascolano che visse di preghiere e penitenze e che scendeva in città lanciando invettive contro chi viveva fuori dalla legge di Dio.

Proveniva da anni di preghiera nel vicino convento diroccato di San Giorgio in Salmasio ai Graniti, in posizione isolata e poggiato su di un travertino rosa.

Da questo viene il nome della frazione che si chiama Rosara a pochi passi da Castel Trosino.
Cenobi appesi a pareti di travertino, luoghi di arcani, un paradiso di quiete da visitare con attenzione.

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