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domenica 10 agosto 2014

Teramo: Una città, un territorio ultra millenario!

Parlando di Teramo e del suo territorio, c’è bisogno di riflettere sulle sue origini e sul suo essere una città vecchia di diversi millenni.
Se dovessi presentare la mia città a ipotetici visitatori rimarcherei comunque il fatto che la sua nascita risale a 350 mila anni fa, nella cosiddetta età paleolitica o della pietra grezza.

Abbiamo reperti che lo testimoniano dal centro città e fino alle montagne gemelle, nel cuneo delle gole del Salinello con le grotte di S. Angelo e Salomone.
Anche la successiva età del neolitico o della pietra levigata è ben rappresentata nella Val Vibrata, attraverso il sito archeologico di Ripoli dove  è stato scoperto quello che era un piccolo villaggio di agricoltori con una necropoli interessante.
Per non parlare dell’età del bronzo e del ferro di cui raccontano gli scavi effettuati alle porte di Teramo e a Tortoreto Alto.

Come dimenticare poi la grande necropoli di Campovalano, presso Campli con le sue duemila e passa tombe e i corredi funerari, le armi, le suppellettili riaffiorata dopo millenni?

Dalle pietre disseminate nella nostra provincia trasuda l’intera civiltà dell’uomo.

Tutti raccontano di un luogo che è stato creato dai Romani nel 790 e, ancor prima, dai popoli italici, segnatamente i Pretuzi così che l’antica Interamnia tra i due fiumi, è anche chiamata Petrut.
Pochi sottolineano il passaggio di quasi tutti gli Italici, gli agricoltori Sabini e Siculi, dei Fenici e ancor più, degli Etruschi di cui una piccola goccia di Dna passa nelle origini cittadine di un abitato dove la storia dell’umanità è forse un po’ snobbata.

Gli antichi Tirreni che non provenivano affatto dall’Anatolia occidentale come affermava Erodoto, e come molti storici credono, ma vantavano origini italiche, nel III secolo o giù di lì, pare si fossero messi in cammino da Tarquinia.

Scoprirono nel territorio teramano un luogo ameno e fertile poco lontano da un mare, l’Adriatico, certamente più a misura d’uomo e percorribile, insomma una terra di vacanza in cui poter trascorrere magari tranquilli attimi di riposo.
Gli Etruschi erano grandi lavoratori, agricoltori e allevatori e certamente hanno trovato nella nostra terra un habitat ideale anche per commerci tra oriente e occidente.

Archeologi e storici, d’altronde, studiano da decenni l’origine di questo popolo e il mistero infinito del loro tramonto affiancando oggi anche la scienza della genetica che permette di leggere nei dettagli il genoma degli uomini di oggi come di quelli antichi.
Certamente gli Etruschi, contrariamente ai Fenici hanno lasciato poco o niente di eredità dissoltasi forse con le migrazioni degli ultimi cinque secoli ma la loro presenza a Teramo non si può definire leggenda.

Prossimamente parleremo della Teramo medievale!


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Articolo di Sergio Scacchia pubblicato sul blog Paesaggio Teramano collegato alla rivista omonima.
Sul blog "Paesaggio Teramano" possibilità di visionare o fare il download dei numeri della rivista già pubblicati.
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sabato 9 agosto 2014

Santa Maria Apparens di Alvi

Alvi , piccola frazione nel comprensorio di Crognaleto, è quanto di più romantico si possa esprimere nei selvaggi monti della Laga.
“Qui il silenzio è utile per coloro i quali vogliono avviarsi alla perfezione”. Lo scriveva Frate Giovanni Pinazza, abitante eremita che vi soggiornò per un anno di vita ascetica.

Il borgo risale al 1300 quando fu costruita la piccola ma bella chiesa di Santa Maria Apparens, con i suoi importanti affreschi, ma la frequentazione di questo luogo esisteva sin dagli antichi Romani.
Pare che sulle pendici meridionali del Monte di Mezzo, in località “il Coppo”, furono localizzati anni fa, i resti di antichi stazzi di quell’epoca. Non c’è da stupirsi.

Questo bel paesino è praticamente da sempre, significativamente collocato lungo un itinerario pastorale che da Crognaleto conduceva a Campotosto.
Il piccolo campanile della chiesa, che fu ideata e costruita definitivamente grazie ai frati dell’Ordine di San Bernardino, si disegna fra un breve pendio e il cielo fuori dal paese.

La leggenda, che vive intorno al luogo santo, è da raccontare.
Si narra che un soldato francese, proveniente da famiglia facoltosa, ferito e abbandonato tra i monti, ormai in fin di vita, invocò l’aiuto della Vergine.
Maria apparve tra le nuvole bianche e salvò il moribondo.
Il giovane fece erigere qui, così lontano da casa e in terra straniera, un tempio alla Madonna che appare.
I vecchi raccontano che all’inizio dell’800, il piccolo luogo sacro fosse frequentato dai tanti briganti che trovavano in queste montagne il loro rifugio.
I malviventi pregavano la Madonna a mani giunte in un’implorazione che raccoglieva le loro umane debolezze, le contraddizioni e le atrocità da riscattare.

Nel 1703 un terremoto devastò questi luoghi e, nei primi anni del ‘900, una grande frana della debole pietra arenaria che circonda il paese, distrusse gran parte del piccolo abitato che fu ricostruito, niente di meno che da un giovane Benito Mussolini.
È una storia raccontatami da un vecchio pallido e zoppicante, incontrato in uno dei miei raid precedenti in paese.

Dal centro di Alvi, c’è un bel percorso sterrato del Sentiero Italia che, utilizzando antichi itinerari provenienti da Campotosto, attraverso la zona del Passo Cattivo, porta a conoscere una montagna poco ambita ma dalla vista bellissima: il Monte di Mezzo, spartiacque tra Laga e Gran Sasso ,dove la vista spazia fino ai Monti Reatini.
Dalla sua vetta si può scendere a Frattoli o tornare ad Alvi.
È un percorso che consiglio vivamente.

Sono fantastici questi borghi dove intrichi selvaggi di rovi rimpiazzano parte dell’abitato e dove alcuni alberi sembrano soffocare a causa di lunghi rami di rampicanti fuori controllo.
Sono paesi fatti di gente solida come le rocce sporgenti che ne determinano il paesaggio.

Mi fanno ripensare a un autore che adoro.
Non so se avete mai letto qualcosa di Mario Rigoni Stern.
La sua “montagna silenziosa e triste” è fatta di contrade piene di case vuote, privi di simpatici merletti, bimbi festosi.
I suoi prati sono inselvatichiti e abbandonati. Paesi che in capo a dieci, venti anni sono passati da cento abitanti a dieci o forse meno.
Quest’abbandono si legge in Dolomiti come in Appennino.
Un tempo mi disse un vecchio abitante di Valle Vaccaro, qui c’era anche bestiame a valle: diverse mucche da latte, qualche arzillo torello per coprire le vacche vogliose con straordinari erotici, poi diverse decine di capre, pecore, maiali, di tutto.

Oggi rimangono poveri cani abbandonati che ululano al vento.
I boschi non sono più governati dalla mano dell’uomo.
E’ una comunità morente.
Il più giovane avrà settant’anni.

Se, tutti voi, passeggiando tra i vicoli di questi sparuti villaggi, avreste la sensazione di incrociare lo sguardo di un pellegrino medievale stremato da un lungo viaggio ma con lo sguardo carico di gioia per aver raggiunto la meta, non sareste vittime di allucinazioni.
È come se nelle pietre e negli alberi che affondano le radici simili ad artigli, si fossero sedimentate le voci, le preghiere e i passi di coloro i quali hanno voluto raggiungere questa virgola di mondo unica e affascinante, immersa in una natura selvaggia e maestosa.
Una forza inarrestabile quella della fede, simile alle acque.
Nella pietra, dalla pietra e sulla pietra è fissata la storia di paesi dall’aspetto quasi lunare, inerpicati sui monti.


La chiesa di Santa Maria Apparens dagli scritti di Giovanni Corrieri

Nel territorio teramano, a macchia di leopardo, esistono incredibili gioielli che occorre scoprire, spesso in zone fuori dal mondo "normale" e dalle direttrici canoniche della viabilità corrente, lungo percorsi virtuali impressi nella "memoria" più che sulle mappe territoriali, o quelli millenari dei tratturi, della fede, dei miti.

In questi percorsi sono collocati, come avulsi dalla storia altrove normale, edifici votivi inaspettati e apparentemente al di fuori da logiche.

Ecco allora varie chiesette, ciascuna con una storia tutta propria, sparse un po' dovunque: San Donato a Castelli, San Bartolomeo a Villa Popolo, la Madonna delle Grazie di Alanno, la "Trinità" di Morge, S. Maria della Croce di Pietranico: Santa Maria Apparens ad Alvi è tra queste.

Prima di andare oltre occorre correggere un errore corrente, perché nella tradizione popolare si crede che la chiesetta sia sorta in seguito ad una "apparizione" della Vergine, ma il termine "Apparens" si riferisce ad un'etimo latino poco adusato, che significa "ubbidiente": infatti, in latino, "appareo", oltre che "apparire" significa anche "assentire, ubbidire".

Il termine si riferisce all'accettazione della Vergine del messaggio divino pronunciatogli dall'Arcangelo Gabriele.
La preghiera dell'angelus, infatti, termina con le parole pronunciate dalla Vergine: "fiat mihi secundum verbum tuum" (avvenga di me quello che mi hai detto), cioè che il Verbo si sarebbe incarnato nel suo grembo.
Quindi "Apparens", e tutti gli altri derivati toponimi di chiese (Santa Maria di Appari, ad es.) non vuol dire altro che "ubbidiente" e, per traslato, "Annunziata".

La chiesetta di piccole dimensioni sorge a poca distanza dalla statale 80 sulla sponda sinistra del Vomano, a qualche km da Tottea e da Cervaro, sulla direttrice di un sentiero montano immediatamente a valle del Lago di Campotosto.
E' una chiesetta votiva di origine medioevale,, ricostruita o rimaneggiata nella sua forma attuale nel 1516, mèta di una suggestiva Via Crucis (non so se ancora si effettua) che partiva in un breve percorso in salita dall'abitato di Alvi (ricostruita poco a valle verso gli anni '30 del '900 in seguito ad una frana che aveva distrutto il paese) fino al luogo della chiesetta.

L'importanza della chiesetta poggia sulla sua straordinaria decorazione pittorica dell'interno, con una serie di scene votive di ottima fattura, opera di più artisti, il più evoluto dei quali si allinea ad una eco della pittura marchigiana (ricordiamo che nel 1526 un altro marchigiano, Jacopo Bonfini da Patrignone, lavorava a S.Maria della Misericordia di Tortoreto), ma sono presenti altre "mani" in sintonia con la cultura umbra tra Pinturicchio e Perugino (come nell'Annunciazione di Cerqueto).

La magnifica scena della "Annunciazione", con l'Angelo a sinistra e la Vergine a destra dell'altare, pur se molto rovinata mostra una qualità pitttorica assolutamente insolita nel resto d'Abruzzo.

Tra le altre scene dipinte, una "Crocefissione", un "San S. Rocco", un "S. Sebastiano", una "S. Maria Maddalena" ed altre figure di Sante Martiri.
Una vera e propria pinacoteca, tragico residuo di una stagione pittorica in gran parte perduta per le ingiurie del tempo, ma soprattutto per l'incuria degli uomini.
Malgrado detti affreschi abbiano subito un recente restauro (circa 30 anni fa) ora è la struttura della chiesetta che ha bisogno di un vigoroso salvataggio, in quanto infiltrazioni di acqua e precarietà del tetto rischiano di danneggiare questo patrimonio pittorico che è uno dei pochi rimasti nel teramano dell'inizio del XVI secolo.

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Per arrivare a Alvi da Teramo, ci sono circa circa Km.37: si percorre la S.S.80 in direzione di Montorio al Vomano, proseguendo poi verso il Passo delle Capannelle.
Giunti ad Aprati si gira a destra e poi, dopo il ponte, subito a sinistra, seguendo le facili indicazioni stradali.

Grazie all'amico Alessandro de Ruvo per le splendide foto a corredo dell'articolo tratto dal libro "Il mio Ararat".


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Articolo di Sergio Scacchia pubblicato sul blog Paesaggio Teramano collegato alla rivista omonima.
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domenica 3 agosto 2014

Il Carnevale degli ignorantelli a Teramo!

Davanti a tanti Carnevali pallidi, stonati, messi in piedi alla buona, con musica e qualche carro qua e là, risulta impossibile non tornare con la mente agli “Ignorantelli”.

Era il caratteristico gruppo di persone che, accomunate dalla passione per la musica, la goliardia e dotati di quella teramanità ormai scomparsa, rallegrava tutte le feste portando note di allegria e spensieratezza con la semplicità e genuinità tipiche del popolano.
Chi ha qualche anno in più, ricorderà il mix di frizzante, divertente, rinfrescante comicità infantile che nasceva spontanea da questo gruppo di amici.

Il gruppo, apparentemente sgangherato, disseminava il Corso di Teramo di gag improvvisate, surreali, sospese tra varietà, clownerie, mimo e cabaret in una combinazione irresistibile di vivace autoironia.

Come dimenticare gli improbabili strumenti grotteschi usati promiscuamente insieme a quelli reali?

Tra tamburi, trombe, ddù botte, urr urr, si celavano brocche, catini, piatti e divertenti “modifiche” a consueti oggetti di vita quotidiana, dove persino un carrozzino per bimbi o uno sciacquone avevano la loro funzione.
Il buonumore, la simpatia dei suoi componenti era trascinante, regalava sorrisi e spensieratezza.

Gli Ignorantelli sono sempre stata l’espressione più gigionesca e ironica di una città che un tempo era viva, che aveva voglia di ridere, che superava i problemi col sorriso, insomma, ciò che manca oggi a Teramo!

I nostri improvvisati attori, con la loro lucida follia trasmettevano l’idea di un universo sottosopra diviso tra intelligenti e sprovveduti in una fine autoironia delirante che manca a tutti noi.

Erano i personaggi della vita di tutti i giorni che sfilavano per le vie cittadine già dal lontano 1933, col fascismo al suo apogeo.

Non si poteva criticare il regime?
Ebbene, uomini come Ammazzalorso, Giulio Di Teodoro, per tutti “Giuggiù”, ebbero la felice intuizione di creare questa finta scolaresca di ignoranti a cui tutto era permesso, anche prendere in giro i governanti e i potenti dell’epoca.

Il compianto giornalista Tiberio Cianciotta, descriveva la maschera di “Giuggiù” mirabilmente: “… piccolo, il volto segnato dalle rughe, pochi denti a gocce, voce roca simile a Buscaglione …”.

Era questo personaggio uno dei massimi esponenti di quella scolaresca cialtrona che al sussidiario preferiva il piffero o l’organetto, la tromba e la musica.

C’erano tante altre figure come, Elio Cutini, Tonino di Eugenio, per tutti “Lu piagnuse”, quello che iniziava a piangere per scherzo, alla stregua del più famoso personaggio dei Brutos televisivi della
Rai e finiva per piangere davvero.

Tra singhiozzi e bicchieri di vino rosso, trascinava una carrozzella con pupazzo dentro.

Come dimenticare Esposito Damiano, per tutti “Tipo Tapo”, l’uomo snodabile che riusciva a piegare tutte le membra e che, davanti all’improbabile corteo con smoking, bombetta e bastone, dettava i tempi di marcia dirigendo, a fatica, l’accozzaglia di scolari sui generis.
A volte toglieva il copricapo, salutava il pubblico, assiepato ai lati del corso per farli diventare parte attiva dello show.

C’era “La caciola”, il piccolino dalle gambe esili che portava con orgoglio lo stendardo degli Ignorantelli.
Nel gruppo si distingueva anche uno slavo, armadio di oltre un metro e novanta, “Ivic” che parlava senza farsi mai capire.

Molti ricordano i suonatori della banda del maestro Fedele, che seguiva il gruppo degli Ignorantelli: Graziuccio al sassofono, Fedele a dare aria al bombardino, Matè alla tromba, Nerio il parrucchiere con l’ocarina, Michele Di Biagio con fisarmonica, flauto e trombone.

Non tutti potevano far parte del gruppo.
I componenti venivano scelti con perizia.

Si doveva essere geniali e strambi per poter partecipare a quei carnevali gioiosi e spontanei che fino agli anni ’60 e comunque fino alla morte di Giuggiù, hanno caratterizzato Teramo, convogliando folle di gente entusiasta e donando alla città grande notorietà.

Gli Ignorantelli furono ospiti di grandi carnevali a Francavilla al mare, San Benedetto del Tronto, Roma.
Furono invitati anche al circo di Moira Orfei.
Entrarono nell’arena e subito conquistarono il pubblico con le loro trovate burlesche.

È bello pensare che questi amici stanno festeggiando il Carnevale tra le nuvole.
Non dimentichiamoli perché faremmo torto alla cultura e alle tradizioni, autentico patrimonio aprutino.


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Articolo di Sergio Scacchia pubblicato sul blog Paesaggio Teramano collegato alla rivista omonima.
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sabato 2 agosto 2014

La Madonna delle Grazie a Teramo

Chiunque si rechi a Teramo, non può esimersi da una visita al Santuario dedicato alla Madonna delle Grazie, compatrona della città (insieme a San Berardo), punto di riferimento della vita cittadina, e nel quale i Frati Minori svolgono in tutta umiltà la loro missione di fraternità orante e operante.


Nel luogo ove esso attualmente sorge, esisteva anticamente (sec. XII) il Monastero Benedettino Femminile di S. Angelo delle Donne, costruito con la donazione di un tale Teodino, in suffragio dell’anima sua, secondo la formula allora in uso (come testimonia una lapide ritrovata nel corso della riedificazione del Santuario alla fine dell’800).

Ai primordi dell’Ordine fondato dal Poverello d’Assisi, nel tredicesimo secolo, i Francescani fecero la loro apparizione nel teramano, tanto che il primo convento francescano sorto a Teramo risale al 1227 e fu intitolato allo stesso fondatore, così come l’annessa chiesa, oggi comunemente chiamata di S. Antonio.

Nel 1400, secolo particolarmente doloroso per la nostra città, perché segnato da continue lotte fra le varie famiglie della città, fa la sua apparizione a Teramo Frà Giacomo della Marca, uno degli esponenti dell’”Osservanza Minorita”, la cui predicazione unita alla fattiva opera pacificatrice innestarono nei teramani il desiderio di avere fra loro una comunità dei “Frati Minori dell’Osservanza che in quel tempo si stavano diffondendo in Abruzzo grazie all’opera di un altro grande francescano, Giovanni da Capestrano.

Il 15 febbraio del 1449 i Frati Minori dell’Osservanza presero possesso della Chiesa e del Convento di Sant’Angelo delle Donne con i nuovo titolo di “Maria Santissima delle Grazie”, mentre le monache Benedettine furono sistemate in Sant’Anna, entro le mura della città.

Della stessa epoca, e per espresso desiderio di Giacomo della Marca, è la bellissima e miracolosa statua della Vergine SS.ma delle Grazie, scultura lignea, opera finissima di artisti aquilani (comunemente attribuita a Silvestro dall’Aquila).

Nella notte tra il 17 e il 18 novembre 1521 una luminosa apparizione della Vergine delle Grazie, insieme al protettore S. Berardo, sulle mura della città in direzione della chiesa delle Grazie aveva scompigliato i piani degli Acquaviva che assediavano Teramo, costringendoli ad una fuga precipitosa

Nel corso del XVI secolo le pubbliche cerimonie di pacificazione tra i partiti avvenivano “fuori la chiesa della Madonna delle Grazie”, e in una ennesima cerimonia, alla presenza del Vescovo e delle Autorità, nel marzo del 1559 fu istituita la “Festa della Pace” da celebrarsi ogni anno nella Domenica in Albis, l’ottava di Pasqua.

La Chiesa della Madonna delle Grazie fu ricostruita totalmente negli anni 1892-1900; del vecchio tempio è rimasto solo il campanile.
Il disegno architettonico, come gli affreschi interni, sono del celebre prof. Cesare Mariani di Roma.

La chiesa è di pianta rettangolare con l’abside nel fondo, con la cupola a calotta emisferica e tre cappelle per ogni lato, intitolate rispettivamente a S. Lucia, S. Antonio, Sacri Cuori, a sinistra di chi entra; all’Addolorata, alla Sacra Famiglia, a San Francesco alla destra.

La cappella dei Sacri Cuori di recente ospita il corpo del Beato Battista da Firenze.

Semicolonne corinzie sormontate da pilastrini scalanati sorreggono la volta della navata centrale divisa in tre scompartimenti a crociera in simmetria agli archi che formano le sei cappelle che la fiancheggiano.
Sotto la cupola nel centro vi è l’altare a confessione con quattro archi dove il baldacchino ottagonale custodisce la statua lignea della Madonna delle Grazie, un’opera di grande pregio e di rara bellezza.
Pregevole è da ritenersi la decorazione pittorica eseguita dal Mariani.

La volta della cupola rappresenta il cielo sovrastante la statua miracolosa della Madonna. Quattro spiriti celesti cantano le lodi di Maria, accompagnati da un orchestra di altri Angeli seduti.
Nelle nicchie circolari dei quattro pennacchi sono rappresentati quattro profeti: Mosè, Davide, Isaia e Geremia, ossia i profeti che avevano profetizzato della Vergine e del Divin Figlio.

Nel catino dell’abside, il Cristo Redentore siede sopra un fondo stellato, sorreggendo la Croce mentre guarda i fedeli che entrano nel tempio.
Alle pareti laterali sotto la cupola sono due grandi affreschi, che rappresentano due principali momenti della vita della Madre di Dio: la Natività, a destra di chi entra, e la Deposizione, a sinistra.

Nei tre scompartimenti a crociera dell’unica navata, ad eccezione del secondo smaltato di stelle d’oro come l’abside, sono dipinte figure di santi che in qualche modo hanno interessato il teramano o il Santuario: il Beato Tommaso, cardinale; S. Giacomo della Marca, il Beato Cherubino di Civitella del Tronto, Sant’Attone, nel primo scompartimento; S. Berardo, S. Michele Arcangelo, S. Benedetto e S. Francesco d’Assisi, nel terzo.

Le pareti delle sei cappelle laterali sono ornate con tappeti dipinti ad arazzo o quadri di artisti teramani, tra i quali “Il Martirio di S. Lucia” di Gennaro Della Monica e “Le tre Marie” di Pasquale Celommi.

Il 27 dicembre 1900 l’Arcivescovo di Lanciano Mons. Della Cioppa consacrò il Santuario appena ricostruito.
La sera del primo ottobre 1933 la statua della Madonna fu incoronata per le mani del Cardinale Alessio Ascalesi, nell’ambito dei festeggiamenti dell’VIII centenario di S. Berardo, Patrono della Diocesi.

Nel Santuario riposa, in un altare a lui dedicato, il Beato Battista da Firenze, frate minore.
Quando la madre entrò in un monastero di clarisse a L’Aquila, il giovane entrò in contatto con il mondo francescano e ne rimase affascinato al punto da decidere di abbracciare lo stato Religioso tra i Minori Osservanti.

Chiese ed ottenne di potersi ritirare dalla Toscana nel convento S. Bernardino di Campli, dove dimorò per molti anni dando testimonianza ai frati e ai secolari con la sua vita santa e dove morì il 9 marzo 1510 lasciando un tale odore di santità che i fedeli subito iniziarono a venerarlo.


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Articolo di Sergio Scacchia pubblicato sul blog Paesaggio Teramano collegato alla rivista omonima.
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