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sabato 26 novembre 2011

Ruspe a Martese di Rocca Santa Maria, nel borgo dedicato al dio Marte!

L’ultima volta che avevo visitato il borgo abbandonato di Martese, puntino indefinibile sulla mappa nei pressi dell’abitato di Rocca Santa Maria, era sempre autunno.

Ricordo il vento e la luce prodigiosa di quella domenica dello scorso anno.

Il minuscolo paese, affogato nella sterpaglia tra topi e serpenti, invitava ad un eremitaggio perfetto in simbiosi con la terra.
Le magiche sensazioni provenienti dal passato, si univano all’emozione trasmessa da un paesaggio incredibilmente bello.
L’architrave di una finestra con la data del 1772, apriva uno squarcio sulla storia.

Tra un sipario e l’altro di nubi comparivano, come ciclopi di pietra, le creste del Pizzo di Moscio e del monte Gorzano.
Persino le case sventrate e ingiuriate dal tempo, il pugno di tetti crollati e i monconi di mura, destavano ammirazione.

Le vecchie abitazioni, irrimediabilmente mute, di una rusticità ancora orgogliosa, continuavano a trasmettere il calore di famiglie ormai scomparse.

Sui rami del vecchio fico alle porte del paese, si erano raccolti decine di uccelli selvatici che sparavano trilli incredibili e schiamazzavano come vecchie comari che riempiono del loro chiacchiericcio una piazza.

Ricordo che pensai alle parole del giornalista Paolo Rumiz che, parlando di rovine, ebbe a dire che saranno pure sinistre, ma piene di storie e che i morti fanno sempre meno paura dei vivi.

Quell’essere in una terra di nessuno, quel visitare uno spazio dove non era voluto rimanere nessuno ti eleggeva cacciatore di segreti.

Che bello che era lo sbecco di un comignolo che resisteva su di un tetto semi crollato in mezzo a un ginepraio irto di spine e cespugli di more. Pareva quasi che gli antichi inquilini proteggessero la loro privacy in questo bazar impazzito di valli e cime.

Tornarci ora e trovare le misere case imbracate come unico cubo di tufo è stato un colpo al cuore.

Martese non è più rassegnata all’abbandono.
Oggi è interamente in ristrutturazione.
Ruspe, gru e operai a lavoro squarciano il silenzio di lunghi anni.

Le maestranze che hanno realizzato l’albergo diffuso di Santo Stefano di Sessanio, stanno mutuando anche qui la fortunata esperienza aquilana.

Presto le mura scrostate e screziate di marrone con pietre in ocra di tinte ammuffite dal tempo e incredibilmente intonate con il paesaggio, lasceranno il posto a nuove abitazioni che, dicono, saranno rispettose del passato.

E da queste parti, inglesi e americani saranno di casa.

Speriamo che saranno salvati alcuni particolari stilistici di tutto pregio che caratterizzavano Martese come l’arco che si apriva sulla strada maestra con attorno le abitazioni e che si preservino le tecniche costruttive e i materiali tipici del luogo.

Molte altre iniziative di società private si stanno muovendo per acquisire immobili da recuperare in altri antichi abitati tra i monti Gemelli e la Laga come Tavolero, Magliano, Serra, Valle Piola, Santa Cecilia.

Un nuovo dinamismo investirà questi paesi che potrebbero diventare volano di sviluppo per nuove attività di servizi turistici, che permetterebbero ai giovani di tornare a vivere e lavorare in questi luoghi.

Ma il punto cruciale è: riusciranno le nostre montagne a conservare la propria identità, le proprie radici?

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Articolo redatto da Sergio Scacchia, autore tra l'altro di tre libri:
"Silenzi di Pietra" e "Il mio Ararat" e "Abruzzo nel cuore".

L'articolo è stato pubblicato su 2 blog
(blog della Città di Teramo - blog di Pensieri Teramani)
e su 2 pagine Facebook
(Il blog della città di Teramo e della sua Provincia - Il mio Ararat)

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