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domenica 27 novembre 2011

La Majella come il Tibet

Gli spazi sono aperti tra fertili pascoli e foreste fitte.
La montagna tace regalando silenzi infiniti.
Poi, il restringimento degli spazi comprime lo sguardo che si perde tra le pietre che custodiscono importanti testimonianze del Medioevo cristiano.

Il cielo ora è soltanto una striscia sottile.
La strettoia che si deve percorrere strisciando con mani e piedi a terra è una vertigine che ingoia proiettando il visitatore in una esperienza indimenticabile tra natura e spiritualità.

L’eremo di San Giovanni all’Orfento nel parco della Majella è uno dei tuguri più affascinanti frequentati nei secoli da impavidi anacoreti.

È anche uno dei più complicati da raggiungere.

Un percorso naturalistico attraverso paesaggi che si moltiplicano alla vista esaltando l’immensa biodiversità della montagna madre.

Il sentiero s’insinua nelle pieghe della roccia, chi vuol conoscere deve accasciarsi a terra lungo un’angusta cengia a strapiombo per poter giungere nel cuore dell’anfratto e scoprire il minuscolo altare e le inquietanti nicchie alle pareti.

Solo così potrà scoprire la devozione che animava gli uomini di un tempo, soltanto in questo modo potrà capire quanto l’ingegno umano nell’arte dell’arrangiarsi, abbia realizzato creando un efficiente e complicato sistema per convogliare in una cisterna, tutta l’acqua buttata giù dal cielo.

Il mondo cambia ad ogni istante e muta anche dentro l’escursionista che viene assalito dalla percezione di essere infinitamente piccolo.

Sono alcune delle sensazioni che si vivono visitando gli eremi opera infaticabile di Pietro da Morrone, papa Celestino V°.

Ora, finalmente, è stata formulata in maniera ufficiale, una proposta- appello per candidare questi luoghi dell’anima come patrimonio mondiale dell’umanità.

Un documento, firmato congiuntamente dagli amministratori locali della montagna comunali e provinciali, da studiosi e associazioni ambientaliste, è sulla scrivania dei dirigenti dell’Unesco e in molti nella petizione ricordano che in mezzo a questo severo ambiente, tra rocce dalle forme curiose, si trovano i segni indelebili di una vita religiosa, intensa e ascetica.

Eremi a volte difficilmente accessibili, da San Bartolomeo a Legio fino a Sant’Onofrio, chiesine rupestri e sentieri un tempo percorsi da monaci e pellegrini, raccontano di luoghi mistici dove la religiosità popolare, dettata da figure imponenti come quella del piccolo frate Pietro, diventa valore aggiunto del turismo naturalistico.

Il “nuovo Tibet” lo vogliono chiamare.

In tempi non sospetti noi l’avevamo intuito e scritto.
Così come accade per la gola del Salinello nei monti Gemelli del teramano, anch’essa zeppa di eremi, la presenza di tanti luoghi devozionali in Majella, può trovare riscontro solo nelle lande meditative himalayane.

Come ebbe a scrivere Riccardo Carnovalini, fotografo naturalista, autore di libri e reportage anche televisivi, sarebbe importante proporre un connubio tra natura, religione e arte, tra percorsi a piedi e su ferrovie secondarie, ricalcando le orme del monaco eremita e papa del “grande rifiuto”.

Si potrebbero così scoprire grotte e cenobi sospesi nel vuoto in un cammino che insegni a viver bene eliminando dalla nostra vita il superfluo che la rende vacua e priva di vero significato.

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Articolo redatto da Sergio Scacchia, autore tra l'altro di tre libri:
"Silenzi di Pietra" e "Il mio Ararat" e "Abruzzo nel cuore".

L'articolo è stato pubblicato su 2 blog
(blog della Città di Teramo - blog di Pensieri Teramani)
e su 2 pagine Facebook
(Il blog della città di Teramo e della sua Provincia - Il mio Ararat)

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