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sabato 28 gennaio 2012

Ai confini del tempo: Morro D’Oro

Davanti alla splendida Santa Maria di Propezzano appare chiaro il segno del primato di Dio, frutto visibile di una ricerca che si esprime attraverso l’arte e la bellezza.
L’antica abbazia svetta da secoli con la sua monumentale torre campanaria, il chiostro benedettino d’infinita bellezza e la chiesa, prima bizantina e poi gioiello del Romanico più bello, quello di Subiaco o Chiaravalle, per intenderci.

Una mutazione di canoni stilistici che oggi donano fascino maggiore al complesso.
La bellezza si fa evento nella semplicità della luce che si staglia quasi a dover raccogliere lo sguardo rapito dalle auliche architetture.

La strada per il borgo di Morro D’Oro disegna imprevedibili traiettorie, su crinali di colline dolci per gli occhi che degradano verso la pianura del fiume Vomano.
Pare di essere al cospetto di un’invenzione che madre natura ha modellato con la sapiente mano dell’uomo.

I contadini hanno curato per secoli l’equilibrio e la bellezza di questo paesaggio, basato sulle principali colture del grano, della vite e dell’olivo.

Questa un tempo era la parte più ricca della provincia.
Si scopre anche dal nome.
Anticamente, ogni settimana, qui si radunavano lanaioli, vasai, calzolai, cappellai, contadini muniti di falce in cerca di padroni per la raccolta di cereali.
Negli anni sessanta, con la fine della mezzadria, cominciò pian piano l’abbandono delle campagne e quest’autentico forziere del teramano perse gran parte delle sue ricchezze .
Oggi da queste parti si è tornati a produrre in gran quantità, vino e olio sopraffino.

Chi visita il paesino non distante dal mare di Roseto, deve calarsi in una realtà che ancora è pervasa dai sapori di una stagione memorabile della nostra storia: il Medioevo.
Le mura fortificate, intorno al VII secolo si stringevano intorno al nucleo abitato e facevano da contorno a un castello poderoso e un’alta torre di avvistamento.

Dopo il 1200 Morro D’Oro entrò nella zona d’influenza degli Acquaviva come accadde per tutto il territorio compreso dalla città ducale di Atri fino al fiume Tronto.
L’antico castello custodiva uno scrigno fatto di case in ciottoli di fiume, abbellite qui e là da piccoli portali o intriganti e artistiche lunette a finestre realizzate in cotto.

L’austero palazzo presenta ancora oggi un portale in travertino del 1500.
Un balcone di ferro battuto dell’ottocento, porta raffigurato lo stemma di una delle più antiche famiglie locali, i Trolj che presero possesso in quel secolo dell’edificio.
Il cortile interno, protetto da mura alte svariati metri con tanto di camminamento, presenta al centro una grande cisterna.
I locali sotterranei contengono una grotta.
Secondo alcuni questa cavità era utilizzata per la prigionia, altri giurano sull’esistenza di trabocchetti, tipici di questi antichi manieri feudali.

Il borgo merita attenzione anche per il convento francescano di Sant’Antonio Abate. Si ipotizza che sia stato lo stesso San Francesco d’Assisi a volere fortemente la sua nascita quando, dopo il Concilio Lateranense del 1215, visitò almeno tre volte l’Abruzzo.
Il portale della chiesa è pregevole e, all’interno, una tela inquietante ma bellissima raffigura, con rara intensità, un pauroso Giudizio Universale.
Nella bella piazza Duca degli Abruzzi, c’è la trecentesca chiesa dedicata a San Salvatore, opera in laterizio di un geniale artista come Gentile da Ripatransone.
È presente un pregevole portale in pietra arenaria dei monti della Laga che ricorda vagamente lo stile di un tempio greco.

All’interno, le tre severe navate custodiscono altari del ‘500.
Le tele più belle sono di Francesco Ragazzini, che intorno al 1600 realizzò molte opere ovunque nelle Marche e in Abruzzo, meritandosi l’appellativo di pittore errante visto che le realizzava a domicilio, in cambio di pochi denari, vitto e alloggio in canonica.
Un maestoso organo settecentesco di stile barocco, il tetto di legno e laterizio e alcune sculture raffiguranti la Madonna sono notevoli per impatto visivo.

Il paese ha vissuto, negli ultimi anni, una politica urbanistica di riqualificazione con nuovi arredi, verde pubblico e pavimentazione a tratti con un acciottolato gradevole.
Nell’insieme un risultato di buon valore estetico che ha tenuto conto della necessità di amalgama fra il moderno e la storia antica.
A rendere ancora più interessante una visita è la presenza del Museo della Civiltà Contadina e Tradizioni Popolari, nel Palazzo De Gregoriis.

Un viaggio nel tempo per una mostra che raccoglie e mette in scena la cultura degli oggetti come racconto della storia e del vissuto quotidiano delle genti contadine in oltre due secoli di vita agricola.
Le sale espositive custodiscono utensili domestici e di lavoro, reperti di un’archeologia del passato, memorie di famiglie patriarcali, strumenti di lavoro di tanti artigiani che, di casa in casa, proponevano il loro mestiere itinerante, dai calzolai, agli ombrellai, ai barbieri a domicilio.

E poi testimonianze del lavoro del fabbro, del maniscalco, della donna con la filatura e tessitura e soprattutto dei ramai poiché da queste parti e in tutta la vicina valle Siciliana era fiorente tale artigianato.

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Articolo redatto da Sergio Scacchia, autore tra l'altro di tre libri:
"Silenzi di Pietra" e "Il mio Ararat" e "Abruzzo nel cuore".

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