Il Natale più bello?
Sarebbe quello in cui tutti noi ci prendessimo l’impegno di difendere il territorio e le nostre opere d’arte.
Come?
Con piccoli gesti, del tipo non lasciare rifiuti in spiaggia, non cogliere fiori in montagna, cercare funghi senza devastare il sottobosco, evitare di portar via muschio per il presepe, usare alberi finti e non abeti destinati poi a morire.
Inutile negarlo, c’è una devastazione continua, cieca e suicida dello spazio in cui viviamo.
Anche a Natale!
Nel nostro magnifico territorio è in atto la progressiva trasformazione della pianura e della costa in una immensa periferia e l’abbandono della montagna.
Leggete dei paesi fantasma e della chiesa di S. Flaviano in distruzione in questo numero di fine anno.
Un disastro paesaggistico, un saccheggio e degrado del nostro patrimonio che sono la metafora dei mali italiani.
Tutto ciò non avverrebbe impunemente se tra i cittadini ci fosse una chiara percezione del valore delle risorse e della irreversibilità del loro consumo, del fatto che la storia indica sempre la via maestra.
Diventa indispensabile educare alla bellezza le generazioni future.
Se nessuno insegna ai bambini che camminare in un bosco, entrare in un museo o in una chiesa per guardare un affresco, vivere il mare d’inverno, può essere un’esperienza divertente, difficilmente quel bambino crescendo, si rileverà sensibile alla tutela del paesaggio.
Dobbiamo tornare a essere contagiati in una sorta di sindrome di Stendhal collettiva per essere coinvolti dalla bellezza di un ambiente, di un’opera d’arte.
Una ragazza di Agrigento ha scritto al F.A.I., fondo per l’ambiente italiano:
“Bisogna, in mezzo alla natura, non lasciare altro che l’impronta dei tuoi piedi e portar via solo foto, impressioni e ricordi, lasciando l’altro al suo posto”.
Sarebbe quello in cui tutti noi ci prendessimo l’impegno di difendere il territorio e le nostre opere d’arte.
Come?
Con piccoli gesti, del tipo non lasciare rifiuti in spiaggia, non cogliere fiori in montagna, cercare funghi senza devastare il sottobosco, evitare di portar via muschio per il presepe, usare alberi finti e non abeti destinati poi a morire.
Inutile negarlo, c’è una devastazione continua, cieca e suicida dello spazio in cui viviamo.
Anche a Natale!
Nel nostro magnifico territorio è in atto la progressiva trasformazione della pianura e della costa in una immensa periferia e l’abbandono della montagna.
Leggete dei paesi fantasma e della chiesa di S. Flaviano in distruzione in questo numero di fine anno.
Un disastro paesaggistico, un saccheggio e degrado del nostro patrimonio che sono la metafora dei mali italiani.
Tutto ciò non avverrebbe impunemente se tra i cittadini ci fosse una chiara percezione del valore delle risorse e della irreversibilità del loro consumo, del fatto che la storia indica sempre la via maestra.
Diventa indispensabile educare alla bellezza le generazioni future.
Se nessuno insegna ai bambini che camminare in un bosco, entrare in un museo o in una chiesa per guardare un affresco, vivere il mare d’inverno, può essere un’esperienza divertente, difficilmente quel bambino crescendo, si rileverà sensibile alla tutela del paesaggio.
Dobbiamo tornare a essere contagiati in una sorta di sindrome di Stendhal collettiva per essere coinvolti dalla bellezza di un ambiente, di un’opera d’arte.
Una ragazza di Agrigento ha scritto al F.A.I., fondo per l’ambiente italiano:
“Bisogna, in mezzo alla natura, non lasciare altro che l’impronta dei tuoi piedi e portar via solo foto, impressioni e ricordi, lasciando l’altro al suo posto”.
Articolo redatto da Sergio Scacchia, autore tra l'altro di tre libri:
"Silenzi di Pietra" e "Il mio Ararat" e "Abruzzo nel cuore".
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