Reportage sul ”Natale degli altri” dell’amico Raoul Ricci, teramano emigrato a Perth, in Australia, per lavoro.
In un lunedì primaverile di inizio ottobre le commesse di un centro commerciale sono già impegnate a riempire gli scaffali di cianfrusaglie natalizie.
Alla domanda un po’ ingenua, ‘ma non è ancora presto?’ - considerando che mancano più di due mesi - segue la risposta secca e poco romantica di una di loro: ‘Il Natale è il nostro miglior business!’.
Come darle torto?
Mi chiedo come sia il Natale qui, nel Western Australia, distante oltre 15mila chilometri da casa.
E faccio fatica ad immaginarlo.
L’ Australia è un racconto troppo grande da narrare tutto d’un fiato.
Sensazioni sconfinate come le terre che ti si presentano davanti mentre guidi su highways che non hanno inizio e fine.
L’Australia è una terra di tutti e di nessuno, dove culture millenarie si sfiorano senza mai toccarsi realmente.
Il Natale è la festa religiosa che, paradossalmente, funge da collante (commerciale) tra le etnie e le loro credenze, andando ben oltre i significati religiosi convenzionali. Le tradizioni qui hanno un’altra accezione e le loro radici sono ancora giovani e sensibili ai cambiamenti.
La natura è l’indiscusso palcoscenico su cui il popolo australiano banchetta le festività. Complice la stagione – Natale cade infatti in piena estate – ogni buon australiano si riversa sulle spiagge in perfetta tenuta da mare bermuda-olio solare- tavola da surf (e cappellino da babbo natale!) per dare sfogo alla naturale voglia di onde e di abbronzatura.
Le spiagge si trasformano in immensi pic-nic collettivi dove l’odore dei barbecue si mischia a quello di salsedine.
Se la Vigilia, da noi così sentita, è un giorno come un altro dove tutto è concesso e non vigono ristrettezze alimentari, il 25 dicembre è invece dedicato al tradizionale pranzo in famiglia, per mangiare abbondanti piatti a base di carne, non esclusa quella di canguro.
Per smaltire il lauto pasto, il pomeriggio lo si trascorre prevalentemente in spiaggia o in un parco.
Il clima è decisamente più ‘ferragostiano’ che natalizio.
Almeno ai nostri occhi.
Il Boxing Day, ovvero il giorno di santo Stefano come viene chiamato qui, forse è quello più atteso: è il ‘Day Off’ per eccellenza, soprattutto per i giovani, che si riversano in ogni luogo carichi di birra e di musica a tutto volume vomitata dagli impianti delle loro jeep.
E’ il party day’ preferito, più del capodanno, secondo quanto raccontano dalle parti di Perth.
Le fasce più adulte si organizzano in partite di golf o cricket, tipici sport domenicali della classe benestante.
Di venature religiose il Natale australiano ne offre veramente poche.
La maggioranza della popolazione, protestante, vive la festività con un approccio decisamente più scanzonato e meno intimo.
Natale è il tempo per svagarsi.
Solo in pochi frequentano le chiese per la semi-sconosciuta messa di mezzanotte. Altre credenze, altri stili di vita.
E’ interessante ascoltare le persone anziane, che qualcosa di inaspettato sanno sempre rivelare: dalle parti di Albany – splendida località di maggiore rilevanza storica del WA – per esempio, i discendenti dei primi coloni sono gli ultimi a conservare una tradizione lontana quanto affascinante: durante il pranzo di Natale, nella tipica zuppa di legumi all’inglese che viene servita in tavola, si usa mettere una goccia d’acqua di mare, prelevata precedentemente.
“E’ un’ usanza che proviene da chi viveva qui prima di noi - racconta Carol – e a me ricorda l’infanzia.
In quella zuppa io ritrovo il sapore del mare, del Natale, dei miei avi.”
Articolo redatto da Sergio Scacchia, autore tra l'altro di tre libri:
"Silenzi di Pietra" e "Il mio Ararat" e "Abruzzo nel cuore".
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In un lunedì primaverile di inizio ottobre le commesse di un centro commerciale sono già impegnate a riempire gli scaffali di cianfrusaglie natalizie.
Alla domanda un po’ ingenua, ‘ma non è ancora presto?’ - considerando che mancano più di due mesi - segue la risposta secca e poco romantica di una di loro: ‘Il Natale è il nostro miglior business!’.
Come darle torto?
Mi chiedo come sia il Natale qui, nel Western Australia, distante oltre 15mila chilometri da casa.
E faccio fatica ad immaginarlo.
L’ Australia è un racconto troppo grande da narrare tutto d’un fiato.
Sensazioni sconfinate come le terre che ti si presentano davanti mentre guidi su highways che non hanno inizio e fine.
L’Australia è una terra di tutti e di nessuno, dove culture millenarie si sfiorano senza mai toccarsi realmente.
Il Natale è la festa religiosa che, paradossalmente, funge da collante (commerciale) tra le etnie e le loro credenze, andando ben oltre i significati religiosi convenzionali. Le tradizioni qui hanno un’altra accezione e le loro radici sono ancora giovani e sensibili ai cambiamenti.
La natura è l’indiscusso palcoscenico su cui il popolo australiano banchetta le festività. Complice la stagione – Natale cade infatti in piena estate – ogni buon australiano si riversa sulle spiagge in perfetta tenuta da mare bermuda-olio solare- tavola da surf (e cappellino da babbo natale!) per dare sfogo alla naturale voglia di onde e di abbronzatura.
Le spiagge si trasformano in immensi pic-nic collettivi dove l’odore dei barbecue si mischia a quello di salsedine.
Se la Vigilia, da noi così sentita, è un giorno come un altro dove tutto è concesso e non vigono ristrettezze alimentari, il 25 dicembre è invece dedicato al tradizionale pranzo in famiglia, per mangiare abbondanti piatti a base di carne, non esclusa quella di canguro.
Per smaltire il lauto pasto, il pomeriggio lo si trascorre prevalentemente in spiaggia o in un parco.
Il clima è decisamente più ‘ferragostiano’ che natalizio.
Almeno ai nostri occhi.
Il Boxing Day, ovvero il giorno di santo Stefano come viene chiamato qui, forse è quello più atteso: è il ‘Day Off’ per eccellenza, soprattutto per i giovani, che si riversano in ogni luogo carichi di birra e di musica a tutto volume vomitata dagli impianti delle loro jeep.
E’ il party day’ preferito, più del capodanno, secondo quanto raccontano dalle parti di Perth.
Le fasce più adulte si organizzano in partite di golf o cricket, tipici sport domenicali della classe benestante.
Di venature religiose il Natale australiano ne offre veramente poche.
La maggioranza della popolazione, protestante, vive la festività con un approccio decisamente più scanzonato e meno intimo.
Natale è il tempo per svagarsi.
Solo in pochi frequentano le chiese per la semi-sconosciuta messa di mezzanotte. Altre credenze, altri stili di vita.
E’ interessante ascoltare le persone anziane, che qualcosa di inaspettato sanno sempre rivelare: dalle parti di Albany – splendida località di maggiore rilevanza storica del WA – per esempio, i discendenti dei primi coloni sono gli ultimi a conservare una tradizione lontana quanto affascinante: durante il pranzo di Natale, nella tipica zuppa di legumi all’inglese che viene servita in tavola, si usa mettere una goccia d’acqua di mare, prelevata precedentemente.
“E’ un’ usanza che proviene da chi viveva qui prima di noi - racconta Carol – e a me ricorda l’infanzia.
In quella zuppa io ritrovo il sapore del mare, del Natale, dei miei avi.”
"Silenzi di Pietra" e "Il mio Ararat" e "Abruzzo nel cuore".
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