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lunedì 18 marzo 2013

Crognaleto ... la Madonna della Tibia

Flecte genv timeq, Matrem venerare, Viator melius intactv s dirigat illa tuos ped.
(Viandante inginocchiati e supplica la Madonna affinché renda sicuro il tuo cammino)
Crognaleto è un antico borgo di pastori.
È ancora testimone silente di una storia di sacrifici, profondamente segnata da un grande fenomeno migratorio.
Pensate, in Abruzzo nel 1700, erano circa tre milioni le pecore condotte al pascolo. Oggi la figura del pastore richiama per lo più memorie infantili lontane o bucoliche statuine di presepe.

Il villaggio è arroccato con una cinquantina di case originariamente in sasso, oggi ristrutturate alcune in maniera discutibile.
Rimangono in piedi delle abitazioni tipiche del primo’800 con le belle facciate in pietra, le finestre di minime dimensioni utili un tempo per proteggersi dalle intemperie.

La piccola chiesina della Madonna della Tibia ha un’aria mistica non comune, uno degli esempi più suggestivi d’arte sacra che riporta la mente agli eremi tanto cari alle gole del Salinello, nei monti Gemelli.

L’ascetismo, sorta di monachesimo che prevedeva vita eremitica e contemplativa in luoghi improbabili, si sviluppò da noi nel V secolo d.C. per la presenza di ricoveri naturali un po’ ovunque.

La costruzione in pietra sorge a oltre mille metri di altezza ai piedi di un’immane bastionata di arenaria, balcone privilegiato su oltre la metà del Parco.

La ricostruzione ultima è del 1617, un bellissimo esempio di architettura ecclesiastica che nel basso Medioevo prediligeva luoghi impervi, isolati, su speroni di roccia.
Edificata da un certo Bernardo Paolini dopo aver ricevuto una grazia, la chiesa è stata restaurata da pochi anni.

Si raggiunge in qualche minuto di cammino sopra l’abitato, su di un percorso ricavato dal taglio della pietra arenaria che sembra un corridoio tortuoso all’interno della roccia.

Tutt’intorno, il panorama è splendido.

In questo luogo sono documentate processioni infinite di pellegrini oranti che, con mantelli lisi, cappelli a larghe tese e bastone su cui appoggiarsi nella fatica, con poveri fardelli e l’immancabile conchiglia per bere acqua, procedevano nella buona come nella cattiva stagione.
Oggi tra questi lastroni accostati, non c’è nessuno.

Alla Madonna della “Tibbia”, la devozione popolare ha attribuito tanti miracoli, soprattutto guarigioni da incidenti sul lavoro, protezione dalle calamità, guarigioni da malattie della fertilità.
Il costone boscoso dietro il piccolo tempio con l’antica casa dei pellegrini adiacente, ospita oltre a faggi, anche qualche antico carpino dalle piccole foglie simili a ritagli di cuoio.

Era in questa casupola che si ospitavano i viandanti.

Dentro c’era lo stretto necessario: un letto duro, lenzuola vecchie ma pulite, brocca d’acqua e bacinella per una minima igiene personale.

In epoche antiche al posto di questa piccola casa, c’era una grotta dove si svolgevano riti per propiziare l’allattamento per i bambini.

Le donne partorienti si riunivano in preghiera tutte le sere.

Il toponimo “tibbia” non sta per la parte anatomica del piede che si è rotta, ma è una parola che riporta alle origini romane del luogo dove si trova la chiesa.



Articolo redatto da Sergio Scacchia, autore tra l'altro di tre libri:
"Silenzi di Pietra" e "Il mio Ararat" e "Abruzzo nel cuore".

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