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venerdì 13 settembre 2013

Il dominio della natura: La costa dei Trabocchi

Vento teso di bora, mare color zinco che picchia sulla scogliera.
Si parte a piedi sull’antico tracciato ferroviario in disuso.

Il doppio colpo della littorina sui giunti del binario, è stato soppiantato dal muggire rabbioso delle onde sbattute sui sassi, a riva.

Siamo su di un balcone proteso stupendamente sul mare.
Oltre cinquanta chilometri dei circa cinquemila percorsi ferroviari dimenticati, patrimonio perfetto per rilanciare la “mobilità dolce” dopo anni di delirio gommato, di strade piene di polveri sottili che passano i limiti di legge un giorno sì e un altro pure.

“La ferrovia è un ostacolo alla crescita” dissero e di colpo il percorso sul mare divenne obsoleto.
Il Genio Ferrovieri si mise in movimento e in breve nacque una nuova linea in collina.
La breccia rettilinea soffre oggi l’abbandono, contornata com’è da sterpaglie, forse un giorno sarà finalmente una pista ciclabile affacciata sull’infinito.
E’ sempre pronto il progetto del Corridoio Verde Adriatico da Martinsicuro fino a Vasto in bici.

Il mare spumeggia lontano dall’insulto del cemento.
Soffia forte il vento sul pittoresco costone roccioso a picco sul mare dell’antico nucleo di San Vito.
Pare quasi che un capriccioso Eolo, soffiando forte, si sia divertito a scaraventare un mucchietto di case fin lassù, quasi a toccare il cielo.

Lo spettacolo, dall’ardito balcone, è di quelli che lasciano senza fiato.
Lo sguardo, rapito, scorge in lontananza la collina di Venere col monastero di San Giovanni, poi Punta Aderci della Penna di Vasto, paradiso naturale e giù fino alle isole Tremiti.
Sotto il costone ricco di ginestre, c’è il trabocco descritto dal poeta D’Annunzio: "... proteso sugli scogli, simile a un mostro in agguato, con i suoi cento arti..."

I “trabocchi”sono delle ingegnose macchine per la pesca dalla riva.
Per mezzo di passerelle e con la rete agganciata a lunghi bracci a bilanciere, permettono di raggiungere anche senza barca, punti dove l'acqua é più profonda e pescosa.
Le vedette sul mare, ancorate agli scogli, sornione e silenziose, sono fedeli guardiani delle bellezze della nostra costa.

La loro origine si perde nella notte dei tempi.
 L’invenzione è stata originata dalla paura che l’uomo provava, nell’avventurarsi in mare aperto.
Quando qui infuria la tempesta, c’è da aver paura.

Un’antica leggenda racconta che, sullo scoglio sottostante l’eremo dannunziano, pochi tornanti dalla marina di San Vito, lì dove usava rifugiarsi il Vate per creare le sue opere, siano ancora visibili due impronte di zampe animalesche.

Sarebbero i piedi del diavolo che balla per la gioia di vedere i marinai, inghiottiti dai flutti, morire nel peccato.

Lungo la piccola spiaggia sottostante, scatarra, sibila il motore di una vecchia barca.
Il pescatore bestemmia con grida disumane fin quando, come in un simpatico cartoon di Topolino, la piccola imbarcazione guadagna il largo.
Lontano, sulle colline che guardano la Majella e il Gran Sasso, le bretelle autostradali sconciano la valle in nome di un progresso che non si può arrestare.

Lo sguardo a nord arriva fino al promontorio di Ortona con il suo singolare campionario di fortificazioni: tre torri e un castello.
Torre Mucchia è una vedetta costiera, Torre Baglioni apparteneva alle mura fortificate della città e Torre Ricciardi era inglobata in un palazzo gentilizio.

Il castello è posto ai margini dell'abitato, in una posizione spettacolare a strapiombo sul mare e fu edificato a metà Quattrocento dagli Aragonesi.
Dell'impianto originale rimangono parte di mura esterne e torri affacciate verso la città.

Qualche chilometro più a sud, senza allontanarsi dal mare, si staglia, maestoso, un altro bellissimo castello aragonese, quello di Vasto situato sulla collina dov’è adagiata la città alta.

Era dimora di Jacopo Caldora, cavaliere di ventura e connestabile, personaggio di grande carisma e cultura.
Non tutti i mari sono uguali.
E’ proprio vero.
Come tutte le terre ognuno di essi ha le sue caratteristiche di colori, d’intensità dei profumi, di forme delle onde.
Alcuni però si distinguono nettamente.

Il mare della costa dei Trabocchi, è un universo affascinante, impreziosito talvolta da coreografici insediamenti umani.
Sfregiato altre volte da un’incuria che non esiterei a definire criminale.
Dall’altra parte c’è il verde delle colline, con campi pettinati di zolle arruffate come capelli di una donna riccia dove si adagiano piccoli centri, all’apparenza inutili contenitori di mura imbiancate e finestre, ma la cui storia millenaria si può leggere solo nelle loro viuzze strette.

Mi trovo davanti all’ingresso del trabocco. Qui mi dicono si mangi da re.
Pesce appena pescato con le reti protese sul mare.
Mi si para davanti la cuoca proprietaria che, nel frattempo, continua a parlare in italiano e a tratti in tedesco con alemanni giunti fuori stagione.

“Queste acque - urla con linguaggio misto al dialetto locale - sono piene di fantasmi che si aggirano nel profondo”.

Poi si accorge di essere stata forse troppo inquietante e aggiunge:
“Sono tanti i pescatori ghermiti dal mare in tempesta che preferiscono girare alla larga dai turisti!”
Tutti scoppiano in una fragorosa risata.
Un gabbiano stridulo, si abbassa a pelo d’acqua, volteggia, lancia il suo grido rauco, poi riprende quota puntando dritto verso il trabocco.
Il legno sembra assorbire dai suoi lunghi pilastri tutto l’umore e la salsedine del mare.

La cucina dentro è qualcosa d’inimmaginabile tra bottiglie, spezie, barattoli, riso, padelle grigie e pesanti con manici in ghisa.
Il caldo oggi si fa ancora sentire, è opprimente, avvolge tutto come marzapane rendendo difficile ogni movimento, ogni pensiero o gesto.

La vista, dal trabocco, spazia su di una piccola darsena tra barche di mille colori, intrise dell’odore del pesce e della salsedine.

Le reti sono pazientemente dipanate e riavvolte da mani esperte.
Sono pescatori da una vita, figli anch’essi di uomini del mare.

Le donne con la proverbiale pazienza certosina ricuciono, rammendano gli squarci nelle reti determinati dal dimenarsi del pesce in trappola.
Al porticciolo si avverte forte il contatto del mare.

Guardo l’aquilone volteggiare nel cielo ventoso.
Capisco perché il D’Annunzio scriveva: “ O desiata solitudine, lungi al rumor degli uomini, o dolce speco d’incanto….”

COME ARRIVARE
In auto: da Bologna Autostrada A14 uscita Pescara Nord; 
da Bari Autostrada A14 uscita Pescara Ovest;  
da Roma Autostrada A25 Roma-Pescara uscita Chieti-Pescara.
Le località costiere dell'Abruzzo si trovano sulla dorsale ferroviaria adriatica che collega i grandi centri del Nord e Bologna con la Puglia.
Per raggiungere Chieti, collegamenti diretti partono dalla stazione di Pescara.
La stazione ferroviaria ad alta percorrenza più vicina a Teramo è Giulianova; da lì partono treni locali diretti a Teramo.

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Articolo di Sergio Scacchia pubblicato sul blog Paesaggio Teramano collegato alla rivista omonima.
Sul blog "Paesaggio Teramano" possibilità di visionare o fare il download dei numeri della rivista già pubblicati.
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