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martedì 10 settembre 2013

Le seduzioni della città ducale

“La bellezza delle cose è nella mente di chi le guarda”. 
(David Hume, filosofo e storico scozzese vissuto nel ‘700)


Gli orizzonti verso l’Adriatico sono dolcemente mossi come lenzuola gonfiate dal vento.
Il paesaggio si dispiega dolce, a tratti grandioso, docili quinte di colore sfumano in lontananza nel blu del mare.
Passano gli anni, i decenni, tutto intorno cambia, ma dai tavoli del caffè che si affaccia sulla piazza centrale di Atri, lo scenario pare inalterato.

Alcuni amici che conservo da anni nella città ducale, si lamentano di un buffet scaduto visibilmente rispetto a qualche anno fa, ma a dire il vero non m’interessa granché.

I miei occhi rimirano la splendida Cattedrale di Santa Maria Assunta, eretta su di un’antica chiesa romanica, con la sua mole trecentesca, l’ardito campanile dal corpo quadrato, terminante a piramide, alto cinquantasei metri.

Devo ammettere, soffocando moti campanilistici, che il suo equilibrio architettonico è superiore al Duomo di Teramo.
La sua larga facciata in pietra, la cornice cuspidata, il rosone a dodici raggi, il ricco portale opera trecentesca di Rainaldo, tutto dona alla struttura, gusto a profusione.

Questo manufatto è un universo nel quale sembrano permanere all’infinito, gli aneliti, i sacrifici, le speranze, la fede vissuta da intere generazioni.

L’interno, elegante nella sua sobrietà, è a tre navate scandito da archi gotici.
Strano destino delle parole.
Dici “gotico” ed è subito medioevo.

E’ quasi una parola “magica”: la pronunzi e il pensiero corre all’ombra profonda delle cattedrali che invade e sovrasta le città con guglie ardite, enormi finestre dai vetri istoriati e policromi e i portali scolpiti tra figure di santi, angeli e qualche demone o mostro di troppo!
Eppure non è così!

Questo incredibile scrigno atriano è ricco di luce, le navate non sono per niente buie.
Un fiotto caldo di luce preziosa entra e rende godibile tutta l’immensa ricchezza del ciclo pittorico del '400 di Andrea De Litio.
Orna mirabilmente le pareti del coro dei canonici.
Un’opera che se si trovasse al nord, avrebbe in ogni ora della giornata, capannelli entusiasti di visitatori.

Una delle più imponenti opere illustrative del Rinascimento abruzzese con oltre cento pannelli raccontanti, mirabilmente, episodi della vita di Gesù e Maria, tra Evangelisti, Dottori della Chiesa e Virtù Teologali.

Molti anni prima il papa del gran rifiuto, l’anacoreta e piccolo frate Celestino V, aveva concesso il privilegio della Porta Santa e della distribuzione delle indulgenze.
Sarebbero tante le opere da ricordare all’interno di questo luogo sacro dell’arte.

C’è, ad esempio, un organo fantastico con seimila canne!

Sopra la mia testa c’è il Teatro Comunale, di stile cinquecentesco, che scimmiotta nello schema compositivo la mitica Scala di Milano, ma che nell’insieme, contribuisce a rendere unica, questa piccola arena naturale di piazza Duomo, simbiosi mirabile tra architettura e gente.


Il teatro fu inaugurato nel gennaio del 1881 con tre ordini di palchi e l’elegante loggione.
Una vera bomboniera dell’acustica sorprendente.

A proposito di musica, pochi sanno che ad Atri c’è anche un archivio musicale tra i più ricchi d’Abruzzo nel quasi sconosciuto museo dedicato al maestro Antonio Di Jorio, nato ad Atessa alla fine dell’ottocento e morto nel 1981.

In fondo alla piazza, mi riempie gli occhi, il cinquecentesco palazzotto gentilizio della Curia, edificato nel periodo di Paolo Odescalchi (1566-1572), trentesimo dei cinquantacinque vescovi della Diocesi di Atri Penne, che fece costruire anche il Seminario, celebrò il Sinodo del 1571 e partecipò alla battaglia di Lepanto, tra le flotte musulmane dell'Impero ottomano e della cristiana Lega Santa.
Atri è così!
Una città generosa di memorie.
Le sue chiese, i suoi palazzi, le sue pietre raccontano un passato straordinario che parte ancor prima dell’epoca romana.

Con il Sacro Romano Impero divenne centro di enorme importanza strategica, il cui porto insisteva lungo la costa del Cerrano.
Nel trecento fu il feudo degli Acquaviva.
La potente famiglia gentilizia trasformò l’antica Hatria, in centro amministrativo dei possedimenti, realizzando il palazzo Ducale, luogo cruciale di storia dell’epoca del mecenatismo rinascimentale e le numerose chiese oggi ancora presenti.

Da veri mecenati, poi, i nobili furono committenti entusiasti di opere d’arte d’immenso valore, oggetti di culto e arredi preziosi, tessuti, ceramiche, quadri, gioielli che oggi rendono pregiate le sale del Museo Capitolare.

La famiglia diede alla chiesa sei cardinali e numerosi prelati.

Mi allontano dal piccolo centro storico, abbandonando le numerose facciate secolari, i cortili ad arco, i palazzi nobiliari che si alternano a piccoli negozi, caffè e l’immancabile bottega dove reperire il “dolce ducale” e la liquirizia famosa in tutto lo stivale d’Italia.
Caracollo fino al belvedere, per sentirmi catapultato nell’infinito.
Prima delle acque blu dell’Adriatico pinetese, arriva una sorta d’inferno dantesco che disegna la genesi dei paesaggi argillosi.

Dirupi di creste nude che destano meraviglia, di volta in volta si avvinghiano alla vegetazione a fondo valle, convivendo a fatica con il lavoro e gli interessi dell’uomo.
E’ l’inedito parco naturale dei calanchi atriani, un mondo tutto a sé, popolato da rapaci, istrici, volpi, faine.
“La natura recita un dramma: non sappiamo se anch’essa lo vede e tuttavia lo recita per noi che contiamo veramente poco”.

Forse solo l’immagine efficacemente espressa dallo scrittore, poeta e drammaturgo Johann Wolfgang von Goethe, può cambiare la lettura del messaggio che un ambiente drammatico invia a chi si sofferma a guardare queste escrescenze della terra.

Il sole e la pioggia di secoli hanno di volta in volta disseccato, spaccato profondamente l’argilla e, poi, in una sorta di compensazione naturale, la pioggia l’ha gonfiata, incisa.
Un trattamento così violento che ha determinato incredibili e spettacolari erosioni.
Il Parco dei Calanchi offre escursioni fantastiche in natura e uno stupendo serpentone per pedoni, bici e cavalli, lungo circa otto chilometri.

Credo che questa mirabile amalgama di arte e paesaggio, gastronomia e gusto di vivere, con la sua miscela di eleganza e armonia sia il giusto luogo dove terminare un viaggio da incorniciare.

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Si raggiunge attraverso l'autostrada A/14 Adriatica, uscendo al casello Atri-Pineto e percorrendo circa 9 chilometri. Dalla statale 16 Adriatica, si raggiunge Atri imboccando la strada provinciale 28 da Pineto, oppure la strada provinciale 553 da Silvi Marina.
Da Teramo, statale 150 della Valle del Vomano, deviando verso sud nei pressi di Notaresco.


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Articolo di Sergio Scacchia pubblicato sul blog Paesaggio Teramano collegato alla rivista omonima.
Sul blog "Paesaggio Teramano" possibilità di visionare o fare il download dei numeri della rivista già pubblicati.
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