
Il sole settembrino brucia ancora.
I cavalli, leggeri, eleganti, avanzano lenti con sinuoso incedere sul manto erboso, quasi paciosi.
Uno dei cavalieri afferra una piantina di liquirizia e me la porge invitandomi a succhiare.
L’itinerario procede tra voli di piccoli rapaci, canne che frusciano al vento e dolci pianori invitanti denudati da secoli di pascolo.
Oggi probabilmente è la giornata in cui l’uomo si ricongiunge alla natura.

Ai lati, sovente, si aprono ampi burroni con ripidi versanti spogli che di colpo si colorano grazie a piante di carciofi selvatici, ginestre, biancospini e rose canine.
I calanchi, aspri e maestosi, appaiono in tutta la loro potenza, impercorribili e indomabili.
La sensazione di libertà che il cavallo sa dare, ben si concilia con queste colline dolci, rigate da campi di erba medica, che d’improvviso paiono comprimere il senso dello spazio, rivelando paesaggi disegnati dal rasoio brutale dell’uomo.

Il sentiero di poco meno trenta chilometri, è stato inaugurato lo scorso anno, grazie ad una collaborazione del WWF e l’azienda agricola Caldirola che l’ha finanziata.
Il tracciato assicura il piacere dell’emozione e della scoperta tra panorami sempre mutanti, è interamente guidato, con pannelli didattici pensati per valorizzare e far conoscere la flora e la fauna del territorio, le formazioni geologiche, i fossili, l’archeologia e i prodotti delle aziende agricole presenti in Riserva.

Il percorso si sviluppa fuori dalle direttrici più comuni e che attende chi a piedi, in bici o a cavallo ha gli occhi curiosi di chi non uccide la meraviglia e vede le impronte digitali di Dio disseminate ovunque.
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Articolo redatto da Sergio Scacchia, autore tra l'altro di due libri:
"Silenzi di Pietra" e "Il mio Ararat".
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