
Probabilmente a questo episodio, il più importante di quelli tramandatici dai Vangeli, la vite deve molte delle sue fortune.
L’Abruzzo contadino ha una solida tradizione di terra ricca di vitigni e inventiva che regala vini eccellenti per purezza, gusto e aroma anche in pezzetti di terra considerati minori per la produzione vitivinicola.
Uomini coraggiosi fanno comunque emergere un territorio che ha molto da far scoprire.
La storia di Renato è simile a quella di tanti di essi.

Di quel pezzetto di terra qualche anno fa lui si era proprio dimenticato.
Poco meno di venti pertiche, misura agraria usata nelle nostre campagne, quindici di esse fanno un ettaro.
Lo aveva ereditato tempo addietro dal nonno ed era incolto.
Poi un giorno il nostro amico, una vita di ufficio e scartoffie ad Ascoli Piceno, è andato finalmente in pensione, i figli ormai grandi ed ecco che è scattata quasi naturale, la felice intuizione.

Ha creato il suo mondo dai filari di viti, sopravvissute a prolungata incuria, sostenute oggi da meli, peri, ulivi, alternati a piccole strisce coltivate a frumento.
È l’antico metodo dell’”alteno”, un campo coltivato con piante di viti abbinate ad altre di fusto per far sì che la parte frondosa crei una sorta di tetto, un soffitto verde.
È una piccola vigna rupestre costruita attorno a massi di arenaria, che restituisce il sapore antico del vino “Pecorino” e quello deciso del “Montepulciano”.

Poi mi racconta che il nome non è solo dato dalla storica transumanza dei pastori ma soprattutto per il particolare gradimento delle greggi verso i grappoli di uva, che si presenta con acini piuttosto piccoli, gustosi e croccanti.
Il suo minuscolo vigneto è quanto di più poetico ci possa essere.
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Articolo redatto da Sergio Scacchia, autore tra l'altro di due libri:
"Silenzi di Pietra" e "Il mio Ararat".
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